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Archivio - gennaio 2008

[27 gennaio 08]

La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei. Lo sanno bene i magistrati: non avviene quasi mai che due testimoni oculari dello stesso fatto lo descrivano allo stesso modo e con le stesse parole, anche se il fatto è recente, e se nessuno dei due ha un interesse personale a deformarlo. Questa scarsa affidabilità dei nostri ricordi sarà spiegata in modo soddisfacente solo quando sapremo in quale linguaggio, in quale alfabeto essi sono scritti, su quale materiale con quale penna; a tutt'oggi è questa una meta da cui siamo lontani. Si conoscono alcuni meccanismi che falsificano la memoria in condizioni particolari: i traumi, non solo quelli cerebrali; l'interferenza da parte di alcuni ricordi "concorrenziali"; stati abnormi della coscienza; repressioni; rimozioni. Tuttavia, anche in condizioni normali è all'opera una lenta degradazione, un offuscamento dei contorni, un oblio per così dire fisiologico, a cui pochi ricordi resistono.

(1947)
(Edizioni Einaudi)


[Trascritto da Ardesia | 27/01/2008 | p.link | segnala un errore | ]


[25 gennaio 08]

ATTO PRIMO

Una rappresentazione a Palazzo Borgogna

La sala di Palazzo Borgogna nel 1640. Una specie di capannone per il gioco della palla adattato ad uso teatrale.
Vari manifesti rossi sui quali si legge La Cloreste.
La sala è ancora semibuia.


SCENA I. Il pubblico, che comincia a entrare a poco a poco. Cavalieri, borghesi, servi, paggi, un ladro, il portinaio, ecc.
(Si sente dietro la porta un vociare, poi un cavaliere entra bruscamente.)


IL PORTINAIO (inseguendolo): Ehi, Voi! Quindici soldi!
IL CAVALIERE: Io entro gratis!
IL PORTINAIO: E perché?
IL CAVALIERE: Sono cavalleggero del re!
IL PORTINAIO (a un altro cavaliere che entra): E voi?
SECONDO CAVALIERE: Non pago!
IL PORTINAIO: Ma...
SECONDO CAVALIERE: Sono moschettiere!
PRIMO CAVALIERE (al secondo): Non comincia che alle due. La sala è vuote. Tiriamo di fioretto. (Tirano di scherma.)
UN SERVO (entrando): Ehi, Flanquin...
UN ALTRO (già arrivato): Champagne?
IL PRIMO (mostrandogli dei giochi che tira fuori dalla giubba): Carte. Dadi (Si siede per terra) Giochiamo.
IL SECONDO (si siede anche lui): Sì caro.
IL PRIMO (tirando di tasca un mozzicone di candela che accende e fissa per terra): Ho preso un po' di luce al mio padrone.
UNA GUARDIA (a una fioraia che viene avanti): Carino da parte tua venire prima che accendano le luci!... (la stringe in vita).
UNO DEGLI SCHERMIDORI (ricevendo un colpo): Toccato!
UN GIOCATORE: Fiori!
LA GUARDIA (inseguendo la ragazza): Un bacio!
LA FIORAIA (divincolandosi): Ci vedono!...
LA GUARDIA (trascinandola in un angolo buio): Qui no!
UN UOMO (sedendo a terra con altri, che hanno portato da mangiare): Quando si arriva prima, si ha pure il tempo di mangiare!
UN BORGHESE (col figlio): Vieni, sistemiamoci là.
UN GIOCATORE: Tris d'assi!


Titolo originale: Cyrano de Bergerac (1897)
(Edizioni Newton - traduzione di Franco Cuomo)


[Trascritto da Ardesia | 25/01/2008 | p.link | segnala un errore | ]


[20 gennaio 08]

Verso la metà d'aprile del 1941, il professore di cultura militare del ginnasio-liceo «Empedocle» di Giurgenti, avvocato Francesco Mormino, principiò, previa autorizzazione del signor preside s'intende, a firriare classi classi per spiegare a noi alunni (io allora andavo in prima liceo), il comu e il pirchì della grande adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta il 21 di quello stesso mese.
E correva voce che a quell'adunata avrebbero partecipato macari avanguardisti e giovani italiane di tutte le altre province siciliane.
Nella nostra classe il professore avvocato Mormino s'appresentò a mezza matinata interrompendo una tirribili interrogazione di greco. E perciò fu ricevuto dalla classe in piedi, venne salutato romanamente e ricevette uno spontaneo applauso liberatorio.
Era vistuto in borgisi, ma indossava la camicia nera. Cinquantino, massiccio, la testa a palla di bigliardo, usava tiniri le mano sui fianchi e quando non parlava dondolava avanti e narrè spurgendo in avanti il mento come usava fare Benito Mussolini. Aveva fama di grande poeta ed era cosa cognita che un suo carme di duemila versi, intitolato «Duce!», era stato acquistato, d'ordine del Federale, da tutte le biblioteche scolastiche e da tutte le case del fascio della provincia.
Con tribunalizio e commosso eloquio, il professore di cultura militare ci spiegò che ci saremmo dovuti recare a Caltanissetta per rendere omaggio all'unico martire fascista siciliano, Gigino Gattuso, del cui sacrificio supremo ricorreva il ventennale.

(2005)
(Sellerio Editore)


[Trascritto da Ardesia | 20/01/2008 | p.link | segnala un errore | ]


[15 gennaio 08]

Prologo
Nell'aprile del 1953, un anno prima di morire all'età di quarantasette anni, Frida Kahlo ebbe la prima importante retrospettiva messicana delle sue opere pittoriche. La sua salute si era ormai talmente deteriorata che nessuno si aspettava di vederla all'inaugurazione. Ma alle otto di sera, un attimo dopo che le porte della Galleria d'arte contemporanea di Città del Messico si furono aperte al pubblico, arrivò un'ambulanza. L'artista, vestita del suo prediletto costume messicano, venne portata in barella fino al grande letto che già dal pomeriggio era stato installano nella galleria. Il letto era decorato come piaceva a lei, con fotografie del marito, il grande muralista Diego Rivera, e dei suoi eroi politici, Malenkov e Stalin. Scheletri di cartapesta pendevano dal baldacchino alla cui volta era stato fissato uno specchio che rifletteva il suo volto devastato eppure splendente di gioia. A uno a uno, duecento tra amici e ammiratori andarono a congratularsi con Frida, quindi formarono un circolo intorno al suo letto e si misero a intonare con lei ballate messicane che durarono fino a notte inoltrata.

Titolo originale: Frida, A life of Frida Kahlo (1983)
(Edizioni La Tartaruga - traduzione di Maria Nadotti)


[Trascritto da Ardesia | 15/01/2008 | p.link | segnala un errore | ]


[06 gennaio 08]

Non è per il tram. Il tram lo devo prendere per cinque anni alle sette di mattina. Ma non mi pesa.
Mi pesa tutto quello che viene prima, quando sono ancora a casa al buio, e la luce non la posso accendere se no mia madre si sveglia e, visto che viene a letto così tardi, meglio di no; mi pesa che devo lavarmi al freddo perché il riscaldamento non è ancora partito, mettermi su il latte nel pentolino e stare attento quando sfrigola che non si metta a bollire, se no se ne esce tutto sul fuoco, ed è incredibile quanto puzza il latte quando cade sul fuoco. Veramente me la preparerebbe volentieri zia Elsa la colazione, ma siccome è molto grossa, se si alza troppo presto le gira la testa e potrebbe cadere. Mia madre mi ha detto: vuoi mica far cadere zia Elsa?
Mi ci faccio la zuppa nel latte caldo. Prendo il pane, lo rompo a pezzi, lo lascio un po’ così a galleggiare che diventa morbido e poi me lo mangio. È l’ultima cosa che mi pesa la zuppa, perché sono ancora in casa tutto solo, mezzo al buio e al freddo, e mi sembra che sia toccata solo a me una vita dove ti inzuppi il pane al buio.
Adesso che esco invece mi passa tutto. Perché vedo che la città è già tutta fuori, un mucchio di persone che si sono già lavate in bagno, si sono vestite, hanno fatto colazione, magari proprio una zuppa come la mia, e sono uscite; e secondo me tutto questo senza fare tante storie, nel senso che anche loro al buio e soli, però poi sembrano felici a prendersi il loro bravo tram e non dicono niente. E allora cosa dovrei dire io? che sono il più fortunato di tutti, perché vado al liceo, non al lavoro o in una scuoletta da ridere.

(2004)
(Edizioni SuperPocket)


[Trascritto da Ardesia | 06/01/2008 | p.link | segnala un errore | ]







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