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Archivio - aprile 2007

[30 aprile 07]

Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.
Al mattino mi svegliai, decisi che avevo bisogno di un po' di esercizio fisico e cominciai subito. Feci parecchie flessioni, poi mi lavai i denti. Sentii in bocca il sapore del sangue, vidi che lo spazzolino era colorato di rosa, mi ricordai cosa diceva la pubblicità, e decisi di uscire a prendermi un caffè.

Titolo originale: Ask the Dust (1939)
(Edizioni Marcos Y Marcos - traduzione di Maria Giulia Castagnone)


[Trascritto da Ardesia | 30/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[28 aprile 07]

Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente , la seconda, nell'agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan. Non è impossibile che un lettore specializzato abbia letto notizie sul mio conto nello studio del dottor Peter Luce, Gender Identity in 5-Alpha-Reductase Pseudohermaphrodites pubblicato nel 1975 dal "Journal of Pe diatric Endocrinology". Oppure potreste aver visto la mia fotografia pubblicata nel capitolo sedici di Genetics and Heredity, un testo ormai tristemente obsoleto. Sono io la ragazza nuda in piedi accanto a un'asta graduata per misurare l'altezza a pagina 578, gli occhi nascosti da una striscia nera.

Titolo originale: Middlesex (2002)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Katia Bagnoli)


[Trascritto da Ardesia | 28/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[26 aprile 07]

Lidea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito! Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri vi abbiano trovato la morte fra torture indicibili.
E anche in questa guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo, cambierà qualcosa se si ripeterà innumerevoli volte nell'eterno ritorno?
Sì, qualcosa cambierà: essa diventerà un blocco che svetta e perdura, e la sua stupidità non avrà rimedio.

Titolo originale: Nesnesitelná lehkost bytí (1984)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Giuseppe Dierna > Antonio Barbato)


[Trascritto da Ardesia | 26/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[24 aprile 07]

"Vagina." Ecco, l'ho detto. "Vagina." L'ho ripetuto. Sono tre anni che pronuncio questa parola. L'ho detta in teatri, università, salotti, caffè, cene mondane, programmi radiofonici in tutto il paese. La direi in televisione se qualcuno me lo permettesse. La pronuncio centoventotto volte ogni sera quando rappresento il mio spettacolo, I monologhi della vagina, che s basa su interviste a un gruppo eterogeneo di più di duecento donne. L'argomento è la vagina. La pronuncio nel sonno. La dico perché non è previsto che la dica. La dico perché è una parola invisibile - una parola che suscita ansia, imbarazzo, disprezzo e disgusto.
La dico perché credo che ciò che non si dice non venga visto, riconosciuto e ricordato. Ciò che non diciamo diventa un segreto, e i segreti spesso creano vergogna, paura e miti. La dico perché un giorno o l'altro vorrei sentirmi a mio agio pronunciandola, e non vergognarmi o sentirmi in colpa.

Titolo originale: The Vagina Monologues
(Marco Tropea Editore - traduzione di Margherita Bignardi)



http://www.vaginamonologues.co.uk/


[Trascritto da Ardesia | 24/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[22 aprile 07]

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron 'Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla.

(1881)


[Trascritto da Ardesia | 22/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[20 aprile 07]

L'Alchimista prese un libro, portato da qualcuno della carovana. Il volume era privo di copertina, ma lui riuscì a identificare l'autore: oscar Wilde. Mentre sfogliava le pagine, trovò una storia su Narciso.
L'Alchimista conosceva la leggenda di Narciso, un bel giovane che tutti i giorni andava a contemplare la propria bellezza in un lago. Era talmente affascinato da se stesso che un giorno scivolò e morì annegato. Nel punto in cui cadde nacque un fiore, che fu chiamato narciso.
Ma non era così che Oscar Wilde concludeva la storia.
Egli narrava invece che, quando Narciso morì, accorsero le Oreadi - le ninfe del bosco - e videro il lago trasformato da una pozza di acqua dolce in una brocca di lacrime salate.
"Perché piangi?" domandarono le Oreadi.
"Piango per Narciso," disse il lago.
"Non ci stupisce che tu pianga per Narciso," soggiunsero. "Infatti, mentre noi tutte lo abbiamo sempre rincorso per il bosco, tu eri l'unico ad avere la possibilità di contemplare da vicino la sua bellezza."
"Ma Narciso era bello?" domandò il lago.
"Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?" risposero, sorprese, le Oreadi. "In fin dei conti, era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni."
Il lago rimase per un po' in silenzio. Infine disse:
"Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza."
"Che bella storia," disse l'Alchimista.

Titolo originale: Alquimista (1988)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Rita Desti)


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[18 aprile 07]

C'era, fra i libri di mio nonno, una tragedia in versi (e naturalmente in cinque atti) che io, ancora caruso, più che leggere, quasi quasi mi mangiai avidamente: si intitolava La tragica storia di Issione ed autore ne era - come dichiarava la copertina - il cavalier Artidoro Scibetta, notaro, mi pare di ricordare, in Aragona. La vicenda non si allontanava manco d'un passo dallo schema che, da Shakespeare in poi, ha fatto impregnare d'inchiostro migliaia di fogli e di lacrime milioni di fazzoletti: il contrastato, e perciò alla fine inevitabilmente tragico, amore fra due giovani. Nel caso specifico, lei si chiamava appunto Issione, orfana e figlia di schiavi, mentre lui, ricco e bello, aveva lo stesso nome dell'autore, Artidoro (e non fui in grado, a quell'età, di avviare un indagine sull'elemento autobiografico della tragedia, ma il suggerimento c'era, e chiarissimo).

(Sellerio Editore, 1984)


[Trascritto da Ardesia | 18/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[16 aprile 07]

Patapumfete!
Cado all'indietro. I miei occhi fanno tilt. Un pezz di azzurro mi passa tra le gambe. Che ci fa lì, il cielo? Non è quello il suo posto. E i miei piedi nudi tra i rami del fico. È normale? Mi fioriranno gli alluci. Petali caffellatte. Non molto serio, come mazzo... Attento figliolo! Qui tutto cresce da sé. Non sei in un posto qualsiasi. Sei a Fort de l'Eau. Il giardino del paradiso! Bell'accoglienza. Capisco che Adamo ed Eva se ne siano andati. Il giardino del paradiso. Di solito è così. Ma oggi l'aria è pesante. Eppure non c'è scirocco... La prova, figliolo: pianti qui una scarpa di corda e ti spunta un paio di stivali da cavallerizzo... Figuriamoci! Ho provato sulla spiaggia con le mie infradito. Non ho trovato niente, né gli stivali né il cavallo. In questo paese tutti esagerano. È uno sport, è mi sa che il tizio in maglietta a righe che mi chiama "figliolo" gioca in serie A... Non ci sai fare. Oppure non hai la mano con le piante, la mano delle sabbie, la mano dell'oasi: la mano del mahonese!... Se ci vogliono quattro mani per piantare una scarpa, tanto vale mettersi al piano con Maryse e Martine, le mie sorelline... Hai poco da ridere. Parola mia, sotterri un nocciolo di pesca e il giorno dopo hai una coppa Melba al Milk Bar! È questa la mano del mahonese... Balle! Al Milk Bar di Algeri l'unica cosa che cresce da sola è il conto... Così dice la mamma.

Titolo originale: Fort de l'Eau (1997)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)


[Trascritto da Ardesia | 16/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[13 aprile 07]

Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Non avrei mai dovuto invitare quel tizio a cena. Una resa affrettata, dalle conseguenze disastrose. È vero che la pressione era fortissima. Tutta la tribù si era accanita a convincermi, ognuno nel proprio registro, una potenza di fuoco spaventosa:
"Come sarebbe?" sbraitava Jérémy, "Thérèse è innamorata e tu non vuoi vedere il suo tipo?".
"Non ho mai detto questo."
Subentrava Louna:
"Thérèse trova un signore che si interessa a lei, fenomeno altrettanto improbabile di un tulipano su Marte, e a te non frega niente?".
"Non ho detto che non me ne fregava niente."
"Nemmeno un briciolo di curiosità, Benjamin?"
Questa era Clara, la sua voce di velluto...
"Ma lo sai almeno, cosa fa nella vita, l'amico di Thérèse?" ha chiesto il Piccolo dietro i suoi occhiali rosa.
No, non sapevo, almeno, cosa faceva.
"Racconti!"
"Racconti?"
"Così ha detto Thérèse; racconti!"
Vietare l'accesso alla nostra ferramenta a un narratore voleva dire distruggere il sistema di valori del Piccolo.

Titolo originale: LA PASSION SELON THÉRÈSE (1999)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)


[Trascritto da Ardesia | 13/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[11 aprile 07]

Viveva nella città turca di Malatya un pittore di nome Sakumat, non giovane ma nemmeno anziano: aveva l'età in cui gli uomini saggi sanno stare in amicizia con se stessi, senza perdere quella degli altri.
Sebbene nella vallata pietrosa di Malatya non splendessero grandi bellezze, Sakumat dipingeva stupendi paesaggi e altri ne inventava, disponendo forme e colori come avrebbe fatto, se fossero stati veri, un buon creatore.
Molti ricchi proprietari di greggi, commercianti di cavalli, o di stoffe, chiamavano Sakumat nella loro casa perché abbellisse un angolo, un fondo di portico, o allargasse con i fiori colorati della sua pittura la luce di un davanzale. Se nessuno avesse richiesto la sua opera, tuttavia, Sakumat avrebbe dipinto ugualmente: perché i pennelli erano per lui come dita, e in ogni pennellata versava dolcemente una goccia del suo sangue.
Quanto ai paesaggi che immaginava, chissà dove li aveva veduti: nemmeno lui lo sapeva. Forse non esistevano in nessun luogo del mondo e in nessun sogno umano: però erano, a vederli, come vera terra, toccata e profumata. Più li si guardava, piu il corpo fuggiva attraverso gli occhi e si trasferiva intero e vivo in spazi colorati e ricchi di pace.

(Edizioni Einaudi, 1993)


[Trascritto da Ardesia | 11/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[09 aprile 07]

In occasione di una delle nostre ultime gite in macchina - mio padre era alla fine della sua vita terrena - ci fermammo nelle vicinanze di un fiume, raggiungemmo a piedi la riva e ci sedemmo all'ombra di una vecchia quercia. Dopo un paio di minuti mio padre si tolse scarpe e calzini, immerse i piedi nell'acqua che scorreva limpida e restò lì a fissarli. Poi chiuse gli occhi e sorrise. Non lo vedevo sorridere così da molto tempo. All'improvviso fece un profondo respiro e disse: "Mi viene in mente..."

Titolo originale: Big Fish. A Novel of Mythic Proportions. (1998)
(Marco Tropea Editore - traduzione di Silvia Lalia)


[Trascritto da Ardesia | 09/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[06 aprile 07]

Cribbio era uno di quei cosi... tipo un omino; ma di meno. Però in proporzione per certe cose anche di più.
Bassotto; tracagnotto... non è mica facile da spiegare. Se ne aveste almeno mai visto uno... ecco, tipo gnomi; ma più alti e con espressioni del viso molto meno stupide.
Possibile che non abbiate mai sentito parlare degli scrobbit? Magari anche col nome che gli danno gli orchi: le mezzeseghe dai piedi pelosi. Solo vagamente? Beh meglio che niente.
Ricominciamo.
Cribbio era uno scrobbit, ed in quanto tale, viveva nella sua casetta mangiando bevendo e grattandosi la pancia.
Oltre a queste virtuose attività, il signor Jogging (poiché questo era il suo cognome) era un tabagista acrobatico, e la sua specialità era quella di stravaccarsi, davanti al camino o sulla soglia di casa a seconda della stagione, e fumare la pipa per sbuffare nuvolette di fumo con le forme di animali o scrobbittesse nude con grossi seni ed in pose provocanti. Insomma, Cribbio, come tutti quelli della sua razza, non aveva certo una vita movimentata.
Finché un giorno, non gli piovve in casa quel simpaticone di Gandalfano, che tutti rispettosamente chiamavano Don Gandalfano.

(Edizioni Clandestine, 2004)


[Trascritto da Ardesia | 06/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]


[02 aprile 07]

"E lei come si chiama?"
"Aspetti, ce l'ho sulla punta della lingua."

Tutto è cominciato così.
Mi ero come risvegliato da un lungo sonno, e però ero ancora sospeso in un grigio lattiginoso. Oppure, non ero sveglio ma stavo sognando. Era uno strano sogno, privo di immagini, popolato di suoni. Come se non vedessi, ma udissi voci che mi raccontavano che cosa dovessi vedere. E mi raccontavano che non vedevo ancora nulla, salvo un fumigare lungo i canali, dove il paesaggio si dissolveva. Bruges, mi ero detto, ero a Bruges, ero mai stato a Bruges la morta?

(Edizioni Bompiani, 2004)


[Trascritto da Ardesia | 02/04/2007 | p.link | segnala un errore | ]







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