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Archivio - dicembre 2003

[30 dicembre 03]


Il decimo attore della compagnia ha dato forfait:
Shakespeare in nove


Il condominio Nobile è diviso in tre parti: scala A, scala B e il lungo tunnel delle cantine che unisce le due metà simmetriche: quella che si affaccia sul trafficato viale Montessori e quella relativamente più tranquilla che guarda verso il collegio Rosmini.
La forma dello stabile ricorda una U con braccia molto corte, o un punto per cucitrice da ufficio.

Il condominio, come la luna, ha un lato perennemente in ombra e l'altro costantemente esposto al sole. Sul retro l'edificio è chiuso dal muro grigio del collegio e non gode di luce diretta nemmeno nel giorno più lungo dell'anno. In Giappone gli appartamenti sul retro avrebbero diritto a un'indennità, per quel muro chiazzato d'umido che li danna a non vedere mai il sole. Qui si accontentano di allungare una camera verso il lato anteriore, dove però, per contrappasso, l'irradiazione solare è a livelli teratogeni.
Nei loro beati e ignari anni sessanta, i progettisti devono aver concepito l'edificio per esseri umani dotati di incredibili capacità di resistenza agli sbalzi termici. Le generazioni condominiali successive, di fibra meno eroica dei primi coloni, si sono via via attrezzate con tecnologie sempre più sofisticate e costose, dai ventilatori da tavolo a quelli industriali ai Pinguini De Longhi, fino all'ultima generazione di condizionatori a parete Toshiba e Panasonic.

(Edizioni Sironi)


[Trascritto da Ardesia | 30/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[22 dicembre 03]

Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell'appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant'oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.
Badiamo! non voglio mica dare ad intendere che io sappia molto bene che cosa ci sia di morto in un chiodo di porta. Per conto mio, sarei stato disposto a pensare che il pezzo più morto di tutta la ferrareccia fosse un chiodo di cataletto. Ma poiché la saggezza dei nostri nonni sfolgora nelle similitudini, non io vi toccherò con sacrilega mano; se no, il paese è bell'e ito. Lasciatemi dunque ripetere, solennemente, che Marley era morto com'è morto un chiodo di porta.


[Trascritto da Ardesia | 22/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[18 dicembre 03]

"Credo che fosse già morto, quando gli ho sparato."
"Scusa?" disse Roberts.
"Credo che fosse morto" rispose Nestor. "Di già. Prima che... sai..."
Roberts guardò il morto.
"Mi stava parlando" disse Roberts, "era giusto a metà di una frase, cazzo..."
"Ma."
"'Ditele che ce l'avrò per...' se non ricordo male."
"Ma."
"E adesso" disse Roberts, "non sapremo mai che cosa voleva dire. Stasera? Natale? Non più di mezz'ora? Cristo santo, che casino."

(Edizioni Guanda - traduzione di Stefania Bertola)


[Trascritto da Ardesia | 18/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[14 dicembre 03]

Chi l'ascolta lo sa.
La città canta.
Se stai in silenzio ai piedi d'un giardino, in mezzo alla strada, sul tetto d'una casa.
Di notte la sua voce si fa più nitida e giunge fino in fondo al cuore attraversando la superficie delle cose.
E un canto quasi sempre senza parole, ma un canto nondimeno, e chi lo ascolta sa bene di cosa parli.
Prova a distinguere ciascuna nota e lo sentirai risuonare ancor di più.

(Edizioni Neri Pozza - traduzione di Massimo Ortelio)


[Trascritto da Ardesia | 14/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[10 dicembre 03]

Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell'oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

(Edizioni TeaDue - traduzione di Giovanna Agabio)


[Trascritto da Ardesia | 10/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[07 dicembre 03]

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era cosí recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.

(Edizioni Mondadori - traduzione di Enrico Cicogna)


[Trascritto da Ardesia | 07/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[05 dicembre 03]

Sono sicuro che questa strada è senza uscita e a un certo punto mi troverò a fare i conti con il mio modo di scrivere le canzoni e quindi con il mio modo stesso di pensare e dovrò cominciare a fare le cose come se veramente nessuno le ascoltasse per uscire definitivamente dallo schema del genere musicale che è come un caldo fuoco protettivo che mi invita a non partire, a non mettermi in viaggio, perché decidere di viaggiare vuol dire comunque non potersi mai legare a niente e a nessuno. Ma io sono un viaggiatore. Non si può essere viaggiatori preoccupandosi ogni volta di costruire una casa nei posti dove ci si ferma, perché quella casa sarà sempre una catapecchia neanche paragonabile ai castelli di chi i posti li abita da sempre e per sempre, il viaggiatore trova la sua casa nel muoversi, la mobilità è il suo equilibrio, il muoversi è il suo modo di essere radicato. La mia è sempre di più la lingua dei viaggiatori e chi decide di ascoltarmi deve sapere che io sono uno che racconta mondi che ha visto e mondi che vuole vedere e non conosco a fondo la lingua del posto, la lingua degli stanziali, strimpello strumenti e parlo male diverse lingue e di volta in volta ho bisogno di musicisti e di interpreti per piantare le tende nel luogo e restarci finché non mi riprende il senso di irrequietezza che mi porta a fare di nuovo i bagagli e partire.
Sono arrivato al punto che il mio bagaglio è un po' troppo pesante, faccio di nuovo fatica a muovermi con agilità portandomi dietro tutta questa roba accumulata, è arrivato il momento di lasciare un po' di bagaglio, di alleggerirmi e prendere una strada nuova magari solo con le scarpe ai piedi e il necessario per sopravvivere.



[Trascritto da Ardesia | 05/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[03 dicembre 03]

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l'unico immodificabile evento di cui si possa asserire l'incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell'errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male.
Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell'attesa di perdermi nell'abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto ormai col mio corpo greve e malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo verbatim quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l'Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione.


[Trascritto da Ardesia | 03/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[01 dicembre 03]

Immaginiamo di essere seduti, voi e io, in una stanza silenziosa affacciata su un giardino, a parlare del più e del meno e a sorseggiare una tazza di tè verde, e che il discorso cada su un fatto avvenuto tanto tempo prima e che io vi dica: "Il pomeriggio in cui incontrai quell'uomo... fu il più bello della mia vita, e anche il più brutto". Sono convinta che mettereste giù la vostra tazza e replichereste: "Be', come'è possibile? Era il più bello o il più brutto? Una cosa esclude l'altra!" Di solito riderei di me stessa, dichiarandomi d'accordo con voi, ma la verità è che il pomeriggio in cui incontrai il signor Tanaka Ichiro fu al tempo stesso il migliore e il peggiore della mia vita. Mi era sembrato un uomo così affascinante che persino il sentore di pesce che proveniva dalle sue mani aveva un che di profumato. Ma, se non l'avessi conosciuto, sono sicura che non avrei mai fatto la geisha.

(Edizione SuperPocket - traduzione di Donatella Cerutti Pini)


[Trascritto da Ardesia | 01/12/2003 | p.link | segnala un errore | ]







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