Alle sei e trenta di un'alba color risciacquatura di piatti, al chiarore della luce elettrica, con l'eco della sveglia ancora nelle orecchie, mi avventurai in bagno a occhi chiusi, guadagnando così sei secondi extra di sonno. Con gli occhi ancora chiusi, mi fermai davanti all'armadietto a specchio, sperando come sempre che durante la notte fosse successo qualcosa, che avrei notato un cambiamento. Ma nulla era cambiato. Non in meglio, comunque.
La solita vecchia faccia non rasata, con l'aria tonta, di un ventinovenne; gli stessi capelli scialbi, lisci, a mezza strada fra castano e rossiccio, che si rizzavano in ogni direzione come una manciata di chiodi arrugginiti; gli stessi occhi iniettati di sangue, stile basset-hound. "Specchio, specchio delle mie brame" dissi "chi è la peggiore schifezza del reame?"
"Oggi nessuna novità" rispose la voce, profonda e familiare. "Ancora un pari merito fra un pecoraio australiano alcolizzato, uno strozzino di Beirut e te. Tutt'al più, tu sei in leggero vantaggio". Una grande mano che sporgeva dalla manica tempestata d'oro di una lunga tunica bianca scese dal soffitto e mi stampiglio la fronte con un enorme timbro di gomma. Lasciò, da tempia a tempia, la parola FALLITO stampata a cubitali lettere nere.
Titolo originale: The Woodrow Wilson Dime (1968)
(Edizioni Marcos y Marcos - traduzione di Vittorio Curtoni)
Domenica, l'una del pomeriggio; il laboratorio sarebbe deserto se non fosse per due matematici indaffarati. Un incontro privato, per una giornata di lavoro in tranquillità, nell'ufficio che occupo da otto anni al terzo piano dell'École normale supérieure di Lione.
Seduto in una comoda poltrona, tamburello energicamente sulla grande scrivania, le dita aperte come zampe di un ragno: il mio maetro di piano me lo ha insegnato tempo fa.
Titolo originale: Théorème vivant (2012)
(Edizioni Rizzoli - traduzione di Paolo Bellingeri)
William Stoner si iscrisse all'Università del Missouri nel 1910, all'età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato di ricerca e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell'università un manoscritto medievale, in segno di ricordo. Il manoscritto si trova ancora oggi nella sezione dei “Libri rari”, con la dedica: «Donato alla Biblioteca dell’Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di Inglese. I suoi colleghi».
Titolo originale: Stoner (1965)
(Edizioni Fazi - traduzione di Stefano Tummolini)
Che cosa si può dire di una ragazza morta a venticinque anni?
Che era bella. E simpatica. Che amava Mozart e Bach. E i Beatles. E me. Una volta che mi aveva messo specificamente nel mucchio con tutti quei tizi musicali, le chiesi l'ordine di preferenza, e lei rispose sorridendo: «Alfabetico.» Sul momento sorrisi anch'io. Ora però mi chiedo se nell'elenco io comparivo con il nome – nel qual caso sarei venuto dopo Mozart – oppure con il cognome, perché mi sarei trovato tra Bach e i Beatles. In ogni modo non venivo per primo, il che sarà idiota ma mi secca terribilmente, essendo cresciuto con l'idea che devo sempre essere il numero uno. Eredità di famiglia, capite?
Titolo originale: Love Story (1970)
(Edizioni Garzanti - traduzione di Maria Gallone)
Per tutto quel settembre non mi era mai stato possibile lasciare la città, eppure era stato un settembre bellissimo, caldo, un settembre che avrebbe potuto indurre un vecchio camminatore a lunghe passeggiate in aperta campagna. Ma si sa come va a finire; si era presi dal proprio servizio quotidiano, si andava avanti e indietro dall'ospedale alle caserme e agli alloggi militari dove, come cappellano, dovevo compiere le mie visite; e non si dimentichi il cimitero militare, che, allestito durante i brevi e violenti scontri intorno a Vinniza nel luglio del '41, quindici mesi più tardi si era terribilmente ampliato. Ora i fiori di fine estate erano già quasi appassiti sopra le tombe; e se avessi voluto vedere ancora qualcosa dello splendido autunno ucraino, avrei dovuto affrettarmi, perché talvolta, da queste parti, l'inverno comincia già alla fine d’ottobre.
Titolo originale: Unruhige Nacht (1950)
(Edizioni Marcos y Marcos - traduzione di Ruth Leiser)
Charlie Asher camminava sulla Terra come una formica sulla superficie dell'acqua, quasi temesse che il più piccolo passo falso potesse farlo andare a fondo, fino a essere risucchiato negli abissi. Avendo la fortuna di possedere l'immaginazione tipica del maschio beta, passava gran parte della vita a lanciare occhiate furtive al futuro, così da poter individuare i modi in cui il mondo tramava la sua morte: la sua, quella di sua moglie Rachel, e adesso anche quella della piccola Sophie, appena nata. Ma, nonostante le attenzioni, la paranoia e l'incessante inquietudine, dal momento in cui l'urina di Rachel aveva fatto comparire una lineetta azzurra sul bastoncino del test di gravidanza fino al suo ricovero al St. Francis Memorial, la morte riuscì comunque a insinuarsi nelle loro vite.
Titolo originale: A Dirty Job (2006)
(Edizioni Elliot - traduzione di Chiara Brovelli)
Perché è la perdita la misura dell'amore?
Non piove da tre mesi. Gli alberi scavano sonde sottoterra, inviano radici di riserva nel suolo arido, radici che aprono come fossero rasoi ogni vena gonfia d'acqua.
I grappoli si sono appassiti sulle viti. Ciò che dovrebbe essere turgido e sodo, resistente al tatto per aprirsi in bocca, è spugnoso e piagato. Quest'anno non avrò il piacere di rigirare gli acini bluastri fra indice e pollice e di impregnarmi di muschio il palmo della mano. Perfino le vespe sdegnano quelle esili gocce marroni. Perfino le vespe, quest'anno. Non è stato sempre così.
Titolo originale: Written on the Body (1992)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Giovanna Marrone)
L'angelo stava vuotando e pulendo i suoi armadi quando giunse la chiamata. Aureole e raggi di luna erano divisi in mucchi a seconda della luminosità, le sacche con l'ra e i foderi dei lampi erano appesi a ganci in attesa di essere spolverati. Da un otre in un angolo era fuoriuscita un po' di gloria, che provvide ad asciugare con un tampone. Ogni volta che muoveva lo straccio, dall'armadio si levava un coro smorzato, come se avesse messo il coperchio su un vaso di sottaceti colmo di Alleluia.
Titolo originale: Lamb: The Gospel According to Biff, Christ’s Childhood Pal (2002)
(Edizioni Elliot - traduzione di Chiara Brovelli)
Mio padre aveva una faccia in grado di fermare gli orologi. Non voglio dire che fosse particolarmente brutto; era un'espressione usata dalle CronoGuardie per descrivere qualcuno che aveva il potere di ridurre lo scorrere del tempo a un rigagnolo ultralento. Papà era stato colonnello nella CronoGuardia e parlava molto poco del suo lavoro. Al punto che non sapevamo che avesse disertato, finché i suoi compagni cronoguardiani non fecero irruzione una mattina a casa nostra brandendo un mandato di Cattura e Sradicamento con le date in bianco, e ci interrogarono su dove fosse e quando. Papà è rimasto uccel di bosco da allora; quando in seguito ci venne a trovare apprendemmo che considerava l'intero organismo "moralmente e storicamente corrotto" e stava combattendo una battaglia solitaria contro tutti i burocrati dell'Ufficio per la Stabilità Temporale. Non capivo che cosa intendesse e non lo capisco tuttora; speravo solo che sapesse quello che faceva e non si mettesse nei guai facendolo.
Titolo originale: The Eyre Affair (2001)
(Edizioni Marcos y Marcos - traduzione di Emiliano Bussolo e Daniele A. Gewurz)
Una gioviale scossetta elettrica, trasmessa dalla sveglia automatica incorporata nel modulatore d'umore che si trovava vicino al letto, destò Rick Deckard. Sorpreso - lo sorprendeva sempre il trovarsi sveglio senza alcun preavviso - si alzò dal letto con indosso il pigiama multicolore e si stiracchiò. Ora, nell'altro letto, anche Iran, sua moglie, dischiuse gli occhi grigi, tutt'altro che gioviali, sbatté le palpebre, quindi gemette e li richiuse.
"Hai programmato il tuo Penfield a volume troppo basso", le disse. "Te lo alzo e ti sveglierai come si deve e..."
"Giù le mani dai miei programmi". La voce della donna aveva un tono di tagliente amarezza. "Non voglio svegliarmi".
Titolo originale: Do Androids Dream of Electric Sheep (1968)
(Edizioni Fanucci - traduzione di Riccardo Duranti)
I lampi. Mi hanno sempre colpita i lampi. Ma una volta è successo davvero. Non dovrei ricordarlo perché ero poco più di una poppante, invece me lo ricordo, eccome! Ero in un prato e c'erano dei cavalli, dei cavalieri... Poi scoppiò un temporale e una donna - non era la mamma - mi prese in braccio e mi portò sotto un albero. Mi teneva stretta stretta e io guardavo in alto le foglie scure contro il ciclo bianco.
Ci fu un gran rumore, come se tutti gli alberi fossero crollati di colpo intorno a me, e una luce, una luce abbagliante, come il sole quando lo guardi troppo a lungo. E un ronzio mi passò attraverso il corpo. Mi pareva di aver preso in mano un pezzo di brace... c'era odore di carne bruciata e una specie di dolore, eppure non faceva male; ma mi sentii rovesciare come un calzino.
Titolo originale: Remarkable Creatures (2009)
(Edizioni Neri Pozza - traduzione di Massimo Ortelio)
Il ponte Shambat di Khartum si estende all'inizio del Nilo, e poco a sud del ponte si trova la punta della boscosa isola Tuti, intorno alla quale il Nilo bianco e quello azzurro si incontrano, senza tuttavia mescolarsi, confluendo soltanto le rispettive ampiezze nel nuovo fiume.
Il Nilo bianco, sul lato occidentale di Omdurman, è più ampio e lento, e si estende per oltre 3000 chilometri dalle sue fonti del lago Vittoria sull'equatore. Il percorso del Nilo azzurro è lungo soltanto la metà, e scorre verso sud fino alla punta aforma di cuore del lago Tana, prima di scendere in direzione nord-ovest l'altopiano etiopico.
Titolo originale: Zarafa (1998)
(Edizioni Garzanti - traduzione di Marco Papi)
Poche miglia a sud di Soledad, il Salinas capita sotto le falde dei colli, dove scorre verde e profondo. L'acqua è anche tiepida, perchè è sgusciata sfavillando sulle sabbie gialle nel sole, prima di giungere alla stretta pozza. Su una riva del fiume i pendii dorati del contrafforte salgono dolcemente ai monti Gabilan forti e rocciosi; ma a valle l'acqua è orlata di piante: salici verdi e novelli ad ogni primavera, ingombre le forche dei rami bassi dal tritume della piena invernale, e sicomori dalle candide e screziate braccia penzolanti e dalle fronde arcuate dalla corrente.
Titolo originale: OF MICE AND MEN (1937)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Cesare Pavese)
Sono Inés Suàrez, suddita nella leale città di Santiago della Nuova Estremadura, Regno del Cile, anno 1580 di Nostro Signore. Della data esatta della mia nascita non sono certa ma, stando a mia madre, venni alla luce dopo la carestia e la terribile pestilenza che devastarono la Spagna alla morte di Filippo il Bello. Non credo fosse stata la scomparsa del re a provocare la peste, come diceva la gente vedendo passare il corteo funebre che lasciava dietro di sé per giorni, sospeso nell'aria, un odore di mandorle amare, ma non si può mai dire... La regina Giovanna, ancora giovane e bella, percorse in lungo e in largo la Castiglia per oltre due anni portandosi appresso quel feretro che apriva di tanto in tanto per baciare le labbra del marito, nella speranza che resuscitasse. A dispetto degli unguenti dell'imbalsamatore, il Bello puzzava. Quando io venni al mondo, la sventurata regina, pazza da legare, era già stata reclusa nel palazzo di Tordesillas insieme al cadavere del consorte, e ciò significa che ho sul groppone almeno una settantina di inverni e che prima di Natale mi toccherà morire.
Titolo originale: Inés del alma mia (2006)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Elena Liverani)
Gaspare Silvestri, detto lo Zebra, rifiutava di credere al declino delle passioni. Sentiva di essere nato per amare una donna: la sua. Appena impalmata la sposa, aveva giurato a sé stesso che il suo matrimonio, a differenza di molte altre unioni logorate da anni di letto a due piazze, non sarebbe mai naufragato.
A quindici anni dalla marcia nuziale né lui né lei erano affatto cambiati: Camilla conservava una bellezza che si reggeva senza artifici, mentre lo Zebra non era minacciato dall'adipe; non poteva fare a meno di constatare, però, che si erano arenati in un torpore matrimoniale prossimo al sonno. Il sacramento era servito loro da guanciale.
Titolo originale: Le Zèbre (1988)
(Edizioni Camelopardus - traduzione di Sara Saorin)
La casa aveva esaurito la propria utilità. Era enorme, rivestita di legno scuro, cupa e silenziosa, vicina alla strada ma con un bosco alle spalle e abbastanza lontana dal centro di Baltimora da sottrarsi all'odore di cenere delle sue fabbriche. Le finestre dell'ultimo piano erano chiuse da assi e il portico che correva tutt'attorno, con il pavimento di legno grigio lucido e il soffitto azzurro cielo, rimaneva deserto anche quando le case dei vicini si riempivano di bambini e cani e ospiti di passaggio. Ma era chiaro che fosse ancora abitata.
Titolo originale: The Clock Winder (1972)
(Edizioni Guanda - traduzione di Laura Pignatti)
Dicono che sia venuto dall'Africa, racchiuso nelle grida degli schiavi; che fosse l'anatema finale degli indiani Taino, pronunciato mentre un mondo moriva e un altro nasceva; o che fosse un demone, penetrato nella Creazione attraverso la porta dell'incubo dischiusa alle Antille. Fukù americanus, o più colloquialmente fukù: usato in genere per indicare qualche tipo di maledizione o sventura, e in particolare la Maledizione e la Sventura del Nuovo Mondo.
Titolo originale: The Brief Wondrous Life of Oscar Wao (2007)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Silvia Pareschi)
L'inizio è facile da individuare. Eravamo al sole, vicino a un cerro che ci proteggeva in parte da forti raffiche di vento. Io stavo inginocchiato sull'erba con un cavatappi in mano, e Clarissa mi porgeva la bottiglia - un Daumas Gassac del 1987. L'istante fu quello, quella la bandierina sulla mappa del tempo: tesi la mano e, nel momento in cui il collo freddo e la stagnola nera mi sfioravano la pelle, udimmo le grida di un uomo. Ci voltammo a guardare dall'altra parte del prato, e intuimmo il pericolo. L'attimo dopo, correvo in quella direzione. Si trattò di un rivolgimento assoluto: non ricordo di aver lasciato cadere il cavatappi, né di essermi alzato, di aver preso una decisione, né di aver sentito la raccomandazione che Clarissa mi rivolse. Che idiozia, lanciarmi dentro questa storia e i suoi labirinti, allontanandomi di volata dalla nostra felicità, tra l'erba tenera di primavera accanto al cerro. Un altro grido e l'urlo del bambino, affievolito dal vento che spazzava le chiome alte degli alberi lungo le siepi. Accelerai la mia corsa. A quel punto, improvvisamente, da angolazioni diverse del prato, altri quattro uomini stavano convergendo sul luogo dell'incidente, correndo come me.
Titolo originale: Enduring Love (1997)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Susanna Basso)
Il giorno in cui morii non fu affatto divertente. E non solo a causa della mia morte. A voler essere precisi, in effetti, l'evento si conquistò appena il sesto posto nella classifica dei momenti più spiacevoli di quella giornata. Al quinto andò l'attimo in cui Lilly mi chiese con sguardo assonnato: "Perché oggi non rimani a casa, mamma? E' il mio compleanno!"
Titolo originale: Mieses Karma (2007)
(Edizioni Sperling & Kupfer - traduzione di Laura Bortot)
Don Giovanni, quinto del nome nella successione dei re, andrà questa notte in camera di sua moglie, donna Maria Anna Giuseppa, che è giunta da più di due anni dall'Austria per dare infanti alla corona portoghese e fino ad oggi non ce l'ha fatta a ingravidare. Già si mormora a corte, dentro e fuori del palazzo, che la regina probabilmente ha il grembo sterile, insinuazione molto ben difesa da orecchie e bocche delatrici e che solo fra intimi si confida. Che la colpa ricada sul re, neppure a pensarlo, primo perché la sterilità non è male degli uomini, ma delle donne e per questo tante volte sono ripudiate, e secondo, tangibil prova, se pur fosse necessaria, perché abbondano nel regno bastardi del real seme e anche ora la fila gira l'angolo. Oltre a ciò, chi si consuma nell'implorare al cielo un figlio non è il re, ma la regina, e anche qui per due ragioni. La prima ragione è che un re, e tanto più se del Portogallo, non chiede quel che unicamente è in suo potere dare, la seconda ragione perché, essendo la donna, naturalmente, vaso per ricevere, dev'essere naturalmente supplice, sia in novene organizzate che in orazioni occasionali.
Titolo originale: Memorial do Convento (1982)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Rita Desti e Carmen M. Radulet)
Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra quasi di avergli dato una mano a morire. E se non fosse capitata in coincidenza con una pietra miliare nel mio sviluppo fisico, la sua morte sembrerebbe un fatto insignificante in confronto a quello che è successo dopo. Parlai di lui con le mie sorelle per tutta la settimana seguente al giorno in cui morì, e Sue di sicuro pianse un po' quando gli uomini dell'ambulanza lo rimboccarono in una vivace coperta rossa e lo portarono via. Era un uomo fragile, irascibile e ossessivo, con le mani e il viso giallastri. Includo qui la breve storia della sua morte solo per spiegare come mai le mie sorelle ed io ci trovammo con tanto cemento a nostra disposizione.
Titolo originale: The Cement Garden (1978)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Stefania Bertola)
Avevo dodici anni la prima volta che camminai sulle acque. A insegnarmi il trucco fu l'uomo vestito di nero e non sarebbe da me far finta di aver imparato nel giro di una notte. Maestro Yehudi, che mi aveva trovato quando di anni ne avevo solo nove, ero orfano e vagavo per le strade di Saint Louis mendicando spiccioli, mi aveva addestrato per tre anni di seguito prima di lasciarmi esibire i miei numeri in pubblico. Correva il 1927, l'anno di Baby Ruth e di Charles Lindbergh, proprio l'anno in cui la notte incominciò a calare sul mondo una volta per tutte.
Titolo originale: Mr Vertigo (1994)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Susanna Basso)
La Pazienza non vuole mai aprire la porta al Dubbio, poiché è un ospite sciagurato. Usa tutto ciò che è tuo senza fare attenzione a non distruggere quanto hai di più fragile e insostituibile. Se ciò accade, si limita a scrollare le spalle e se ne va. Senza chiedere il permesso, porta spesso con sé amici equivoci: la diffidenza, la gelosia, l'avidità, e tutti insieme si mettono a spadroneggiare e a cambiare la disposizione dei mobili nelle tue stanze come vogliono. Parlano bizzarre lingue misteriose senza preoccuparsi di tradurre quel che dicono. Cucinano strani piatti nel tuo cuore che lasciano strani odori e sapori ancor più strani. Quando finalmente se ne vanno, che ne sarà di te? Ti lasceranno felice o addolorato? Rimane soltanto la Pazienza con la ramazza in mano.
Titolo originale: White Apples (2002)
(Edizioni Fazi - traduzione di Lucia Olivieri)
Attento. Tieni la testa a posto: ti servirà. La città in cui ti conduco è vasta e intricata, e tu non ci sei mai stato prima. Puoi immaginare, da altre storie che hai letto, di conoscerla bene, ma quelle storie ti hanno illuso, accogliendoti come un amico, trattandoti come se fossi uno del posto. La verità è che tu sei un alieno, in tutto e per tutto, arrivato da un altro tempo e da un altro luogo.
Titolo originale: The Crimson Petal and the White (2002)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Elena Dal Pra e Monica Pareschi)
Si alza in piedi nel giardino in cui ha lavorato e guarda in lontananza. Ha avvertito il mutamento del tempo. Un'altra folata di vento, un fremito nell'aria, e gli alti cipressi ondeggiano. Si volta e si incammina su verso la villa, scavalca un basso muretto, mentre sente le prime gocce di pioggia sulle braccia nude. Attraversa la loggia ed entra rapidamente.
Percorre la cucina senza fermarsi e sale le scale buie procedendo lungo l'ampio salone in fondo al quale un cuneo di luce fuoriesce da una porta aperta.
Entra nella stanza che è un altro giardino con alberi e pergolati dipinti su pareti e soffitto. L'uomo giace sul letto, è esposto alla ventilazione, e al suo ingresso volge lentamente il capo verso la donna.
Titolo originale: The English Patient (1992)
(Edizioni gARZANTI - traduzione di Marco Papi)
Nel quale la narratrice introduce: se stessa - i colori - e la ladra di libri
La morte e il cioccolato
Prima i colori.
Poi gli esseri umani.
È così che di solito vedo le cose.
O almeno ci porovo.
*** UN SEMPLICE FATTO ***
Prima o poi morirai.
In tutta sincerità, mi sforzo di prendere la faccenda allegramente, anche se, a dispetto delle mie proteste, la maggior parte delle persone trova difficile credermi. Per favore, fidati di me. Posso davvero essere allegra. Posso essere amabile. Affettuosa. Affabile. E queste sono solo le parole che cominciano per A. Non chiedermi però di essere bella: essere bella non è da me.
Titolo originale: The Book Thief (2006)
(Edizioni Frassinelli - traduzione di Gian M. Giughese)
IL GIORNALE DELLA SIGNORA WEEMS
(BOLLETTINO SETTIMANALE DI WHISTLE STOP, ALABAMA)
12 giugno 1929
Apre un nuovo caffè
Il Caffè di Whistle Stop ha aperto la settimana scorsa, proprio di fianco a me alla posta, e le proprietarie, Idgie Threadgoode e Ruth Jamison, affermano che fin dal primo giorno gli affari sono andati a gonfie vele. Idgie dice che la gente non deve aver paura di restare avvelenata, perché non è lei che cucina ma due donne di colore, Sipsey e Onzell, mentre al barbecue c'è Big George, il marito di Onzell.
Titolo originale: Fried Green Tomatoes at the Whistle Stop Cafe (1987)
(Edizioni Sonzogno - traduzione di Olivia Crosio)
***
La ricetta:
POMODORI VERDI FRITTI CON SALSA AL LATTE
3 cucchiai di grasso di pancetta - farina - 4 pomodori verdi affettati - latte - uova sbattute - sale - pangrattato - pepe
Scaldate il grasso in una padella per friggere. Bagnate i pomodori nell'uovo sbattuto, quindi passateli nel pangrattato. Friggeteli fino a quando non saranno coloriti da entrambi i lati e sistemateli su un piatto. Per ciascun cucchiaio di grasso rimasto nella padella, aggiungetene uno di farina e mescolate bene. Quindi versate, sempre mescolando, una tazza di latte tiepido e lasciate cuocere finché la salsa non si addenserà, senza mai smettere di mescolare. Aggiungete sale e pepe a piacere. Versate sui pomodori e servite bollente.
Il meglio che c'è.
Ecco cosa sappiamo, noi che possiamo parlare per raccontare una storia: nel pomeriggio del 24 ottobre, mia moglie, Lexy Ransome, si arrampicò in cima al melo nel giardino dietro casa e precipitò morendo sul colpo. Nessun testimone, a parte il nostro cane Lorelei; era un pomeriggio infrasettimanale, e nessuno dei vicini era a casa, seduto in cucina con la finestra aperta, per sentire se mia moglie, in quel breve attimo a mezz'aria, gridò, boccheggiò o non emise alcun suono.
Titolo originale: The Dogs of Babel (1927)
(Edizioni Fazi - traduzione di Monica Pavani)
Si vede il sole in uno degli angoli superiori del rettangolo, quello alla sinistra di chi guarda, e l'astro re è raffigurato con la testa di un uomo da cui sprizzano raggi di luce pungente e sinuose lingue di fuoco, come una rosa dei venti indecisa in quali direzioni puntare, e quel viso ha un'espressione piangente, contratta da un dolore inconfortabile, e dalla bocca aperta emette un urlo che non potremo udire, giacché nessuna di queste cose è reale, quanto abbiamo davanti è solo carta e colore, nient'altro. Sotto il sole vediamo un uomo nudo, legato a un tronco d'albero, i fianchi cinti da un drappo, a coprirgli le parti che chiamiamo intime o vergognose, e i piedi li ha posati su quanto resta di un ramo tagliato, ma per maggior saldezza, perché non scivolino da quel sostegno naturale, sono fissati da due chiodi, profondamente conficcati.
Titolo originale: O Evangelho segundo Jesus Cristo (1991)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Rita Desti)
Padre Angel si sollevò con uno sforzo solenne. Si stropicciò le palpebre con le ossa delle mani, scostò la zanzariera di tulle e restò seduto sulla stuoia spelacchiata, assorto per un attimo, il tempo indispensabile per rendersi conto di essere vivo e per ricordare la data e il suo riscontro nel martirologio. "Martedì quattro ottobre" pensò; e disse a voce bassa: «San Francesco d'Assisi».
Si vestì senza lavarsi e senza pregare. Era grande, sanguigno, aveva una pacifica figura di bue mansueto, e si muoveva come un bue, con gesti densi e tristi. Dopo aver corretto l'abbottonatura della tonaca con la solerzia languida di dita che controllano l'accordatura di un'arpa, fece scorrere il paletto e aprì la porta del patio. I nardi sotto la pioggia gli fecero ricordare le parole di una canzone.
«"il mar crescerà con le mie lacrime"» sospirò.
Titolo originale: La mala hora (1962)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Enrico Cicogna)
Il venerdì 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il più bel ponte di tutto il Perù si spezzò, precipitando cinque viaggiatori nell'abisso sottostante. Questo ponte si trovava sulla strada maestra fra Lima e Cuzco, e centinaia di persone lo attraversavano ogni giorno, era stato intessuto di giunghi dagli Incas, più di un secolo prima, e chi veniva a visitare la città era sempre condotto a vederlo. Era formato da una pura e semplice scala di lamine sottili, sospesa sul precipizio, con balaustre di liane secche. I cavalli, i cocchi, le portantine erano obbligati a scendere più di cento metri al di sotto del ponte, per attraversare su zattere l'angusto torrente; ma nessuno, neppure il viceré o l'arcivescovo di Lima, preferiva scendere con i bagagli anziché passare sul famoso ponte di San Luis Rey.
Titolo originale: The Bridge of San Luis Rey (1927)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Lauro De Bosis)
CLARE: È dura rimanere indietro. Aspetto Henry senza sapere dov'è e se sta bene. È dura essere quella che rimane.
Mi tengo occupata. Così il tempo passa più veloce.
Vado a dormire da sola e mi sveglio da sola. Faccio passeggiate. Lavoro fino a stancarmi. Osservo il vento giocare con la robaccia rimasta sepolta tutto l'inverno sotto la neve. Finché non ci si pensa sembra semplice. Perché l'assenza intensifica l'amore?
Tanto tempo fa, quando gli uomini andavano per mare, le donne li aspettavano sulla spiaggia, scrutavano l'orizzonte in cerca della piccola imbarcazione. Adesso io aspetto Henry. Lui scompare senza preavviso e involontariamente. Io lo aspetto. Ogni minuto di attesa dura un anno, un'eternità. Ogni minuto scorre lento, trasparente come vetro. Attraverso ogni minuto vedo un'infinità di minuti in fila, in attesa. Perché se ne va dove io non posso seguirlo?
Titolo originale: The Time Traveler's Wife (2003)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Katia Bagnoli)
Il pappagallo nudo sembrava un feto umano innestato su un pollo kosher. Era così vecchio che aveva perso fino all'ultima delle sue penne, perfino quelle nascenti, e la sua raggrinzita, itterica pelle era un reticolo di gommose vene bluastre.
"Patologico", borbottò Switters, alludendo non soltanto al pappagallo ma all'intera scena, che comprendeva la vecchia rinsecchita di cui l'uccello seguiva ostinatamente i passi mentre lei si aggirava per la villa in penombra. I ruvidi artigli del volatile facevano un secco, stridente rumore nello sforzo di riuscire a far presa sulle piastrelle di terracotta, e di quando in quando, nel perdere l'equilibrio e slittare di alcuni centimetri, l'animale emetteva uno strido rauco così fievole e tremante, da dare l'impressione d'essere stato accarezzato dallo Strangolatore di Boston.
Titolo originale: Fierce Invalids Home from Hot Climates (2000)
(Edizioni Baldini Castoldi Dalai - traduzione di Hilia Brinis)
Quando comporranno il mio necrologio. Domani. O dopodomani. Scriveranno: LEO GURSKY LASCIA UN APPARTAMENTO PIENO DI MERDA. Sono sorpreso di non esserci rimasto sepolto vivo. Il posto non è grande. Faccio fatica a tenere sgombro un passaggio fra il letto e il bagno, fra il bagno e il tavolo della cucina, fra il tavolo della cucina e la porta d'ingresso. Se voglio andare direttamente dal bagno alla porta d'ingresso... impossibile: devo passare accanto al tavolo della cucina. Mi piace immaginare il letto come antipasto, il bagno come prima portata, il tavolo della cucina come seconda, la porta d'ingresso come terza: se suona il campanello quando sono a letto devo girare intorno al bagno e al tavolo della cucina per arrivare alla porta. Se per caso è Bruno, lo faccio entrare senza dire una parola e me ne torno a letto, con il fragore dell'invisibile folla nelle orecchie.
Titolo originale: The History fo Love (2005)
(Edizioni Guanda - traduzione di Valeria Raimondi)
Mi trovo in un parcheggio a Leeds quando dico a mio marito che non voglio più stare con lui. David non è lì con me nel parcheggio. È a casa, a curare i bambini, e io l'ho chiamato soltanto per ricordargli che dovrebbe scrivere due righe per la maestra di Molly. L'altra cosa mi è come... sfuggita. Un errore. Ovvio. Evidentemente, e con mia grande sorpresa, sono il tipo di persona capace di dire al marito che non se la sente più di stare con lui, ma non pensavo davvero di essere capace di dire questa cosa da un cellulare, da un parcheggio. Adesso, è chiaro, la considerazione che avevo di me stessa andrà rivista.
Titolo originale: How to be Good (2001)
Traduzione di Stefano Viviani
Dagli Archivi di Hain. Trascrizione di Documento Ansible,
01-01101-934-2-Gethen: Allo Stabile di Ollul: Rapporto
di Genly Ai, Promo Mobile su Gethen/Inverno,
Ciclo Hainiano 93, Anno Ecumenico 1490/97.
Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand'ero bambino, che la Verità è una questione d'immaginazione. Il più solido dei fatti può soccombere o prevalere, a seconda dello stile in cui è espeosto: come quel bizzarro gioiello organico dei nostri mari, che si fa più brillante quando una donna lo indossa e, indossato da un'altra, sbiadisce, si fa opaco e diventa polvere. I fatti non sono più solidi, coerenti e rotondi, e reali, di quanto non lo siano le perle. Entrambi, però, sono sensibili.
Titolo originale: The Left Hand of Darkness (1969)
(Edizioni TEA - traduzione di Ugo Malaguti)
"Marx cambia completamente la mia visione del mondo" mi ha dichiarato questa mattina il giovane Pallières che di solito non mi rivolge nemmeno la parola.
Antoine Pallières, prospero erede di un'antica dinastia industriale, è il figlio di uno dei miei otto datori di lavoro. Ultimo ruttino dell'alta borghesia degli affari – la quale si riproduce unicamente per singulti decorosi e senza vizi –, era tuttavia raggiante per la sua scoperta e me la narrava di riflesso, senza sognarsi neppure che io potessi capirci qualche cosa. Che cosa possono capirci le masse lavoratrici dell'opera di Marx? La lettura è ardua, la lingua forbita, la prosa raffinata, la tesi complessa.
A questo punto, per poco non mi tradisco stupidamente. "Dovrebbe leggere L'ideologia tedesca" gli dico a quel cretino in montgomery verde bottiglia.
Titolo originale: L'Élégance du hérisson (2007)
(Edizioni e/o - traduzione di Emanuelle Caillat e Cinzia Poli)
Mi è difficile descrivere cosa accadde.
Era il tardo pomeriggio di una qualsiasi domenica londinese. Quell'anno l'inverno era stato particolarmente clemente e nonostante alle quattro e mezza fosse già bello buio, non faceva freddo. Per di più Chester aveva il riscaldamento acceso. L'affare era guasto e quindi, o si andava arrosto o si gelava. Il flusso di aria calda mi metteva addosso un gran sonno. Non so se avete mai provato questa sensazione, quando viaggiate in auto - e non è necessario che si tratti di una vettura particolarmente confortevole: un senso di sonnolenza che vi toglie qualsiasi ansia di arrivare e vi fa sentire piacevolmente a vostro agio, come se da lì non doveste più alzarvi. Suppongo che sia questo vivere nel presente. Non è che me la cavassi molto bene e vivere nel presente, in quei giorni; mi riusciva soltanto in macchina o in treno.
Titolo originale: The Dwarves of Death (1990)
(Edizioni Marco Polillo Editore - traduzione di Mariagiulia Castagnone)
La mattina che si uccise anche l'ultima figlia dei Lisbon (stavolta toccava a Mary: sonniferi, come Therese) i due infermieri del pronto soccorso entrarono in casa sapendo con esattezza dove si trovavano il cassetto dei coltelli, il forno a gas e la trave del seminterrato a cui si poteva annodare una corda. Scesero dall'ambulanza, con quella che come al solito ci sembrò una lentezza esasperante, e il più grasso disse sottovoce: "Mica siamo in tivù, gente: più presto di così non si può". Stava spingendo a fatica le apparecchiature per la rianimazione accanto ai cespugli cresciuti a dismisura, sul prato incolto che tredici mesi prima, all'inizio di quella brutta storia, era perfettamente curato.
Titolo originale: The Virgin Suicides (1993)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Cristina Stella)
Maestà,
io sono quel tale Álvar Núñez Cabeza de Vaca che di recente vi ha mandato una relazione dei suoi naufragi e delle sue disavventure durante gli otto anni trascorsi lontano dai vostri possedimenti. Ora mi è venuto il doloroso dubbio che le mie parole non fossero sufficientemente chiare, e torno a scrivervi. Il mio proposito è inconsueto e, a un primo sguardo, potrebbe sembrare alla Maestà Vostra senza ripercussioni sul Suo prestigio; talché Vostra Maestà potrebbe forse non considerare il mio racconto come un'occasione di dar prova della Sua equanimità. La colpa in questo caso sarebbe mia e non di ciò che sto per dire. Siate un lettore indulgente, Maestà, e concedetemi la Vostra benevolenza.
Titolo originale: Interlinear to Cabeza de Vaca (1936)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Hélène Benazzo Boesch)
Qui comincia la storia. Racconta come sono entrato in possesso del Libro sanguinoso e come ho incontrato l'unza. Non è una storia per tipi dalla pelle sensibile e dai nervi deboli: a chi si trovasse in queste condizioni suggerisco di rimettere il volume sullo scaffale e di svignarsela con la coda fra le gambe nel reparto dei libri per fanciulli. Su, spicciatevi, sparite, trincacamomilla e piagnoni, cachinbraghe e mammoni, questa è una storia su un luogo in cui leggere è ancora un'avventura! E per avventura intendo ciò che dice la vecchia definizione del Dizionario Zamonico: "Impresa temeraria suggerita dal bisogno d'esplorare o dalla spavalderia, con aspetti rischiosi per la vita, pericoli imprevedibili e, talora, esito fatale".
Titolo originale: Die Stadt der Träumenden Bücher (2004)
(Edizioni Salani - traduzione di Umberto Gandini)
Papà diceva sempre che bisogna avere un motivo meraviglioso per mettere nero su bianco la storia della propria vita e sperare che interessi a qualcuno.
«A meno che non ti chiami Mozart, Matisse, Churchill, Che Guevara o Bond – James Bond – dedica il tempo libero a smaltarti le unghie o a giocare a rimpiattino perchè nessuno, a eccezione di tua madre – con le braccia flaccide, i capelli laccati e quel modo da pesce lesso di guardarti –, avrà voglia di stare a sentire i particolari della tua grama esistenza, che senza ombra di dubbio terminerà com'è iniziata: con un rantolo.»
Titolo originale: Special Topics in Calamity Physics (2006)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Carlo Prosperi)
Il capo del villaggio, un uomo sui cinquant'anni, era seduto a gambe incrociate al centro della stanza, accanto a un focolare scavato nel terreno in cui bruciava del carbone, e stava esaminando attentamente il mio violino: l'unico oggetto, nel bagaglio dei due «ragazzi di città», quali eravamo considerati Luo e io, da cui sembrava emanare un che di estraneo, un odore di civiltà che insospettiva la gente del posto.
Titolo originale: Balzac et la Petite Tailleuse chinoise (2000)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Ena Marchi)
Avrei dovuto scommetterci. Pochi minuti dopo aver accompagnato per la prima volta in giardino la mia nuova gattina siamese Shantung, scorsi la signora Binney davanti al cancello che sbirciava dentro; aveva la bocca piegata all'ingiù, parallela alla tesa del cappello, e lasciava chiaramente trapelare il suo scetticismo quanto alle mie capacità di crescere la micina.
Titolo originale: More cats in the Belfry (1995)
(Edizioni TEA - traduzione di Maddalena Togliani)
Tutti i nostri sogni cominciano in gioventù...
Da bambino le imprese degli eroi dei nostri giorni mi entusiasmavano molto di più delle materie scolastiche. Gli uomini che erano andati ad esplorare nuove terre o che con fatica e abnegazione si erano preparati a diventare campioni di qualche sport, i conquistatori delle grandi vette: questi erano i miei modelli, e imitarli era lo scopo che mi prefiggevo.
Titolo originale: Sieben Jahre in Tibet (1953)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Guido Gentilli)
La mattina del 31 dicembre 1996, Mike O'Neal si svegliò presto, in un silenzio innaturale. "Grazie al cielo ha smesso di piovere", pensò.
La contea di Humboldt, situata nella parte più settentrionale della California, è tradizionalmente molto piovosa. Gli abitanti dicono scherzosamente che la zona ha solo tre stagioni: luglio, agosto e la pioggia. Tuttavia, persino per quei parametri, l'annuale diluvio era stato impressionante. Così, la notte precedente, Mike, baffuto e ben messo trasportatore di roulotte nonché genitore single, aveva controllato il ruscello che scorreva proprio sotto la sua casa nella cittadina di Stafford. Qualsiasi detrito trascinato dall'acqua dalla montagna intasa immediatamente la condotta che convoglia il ruscello e ne spazza via le fondamenta.
Improvvisamente Mike sentì un susseguirsi di schiocchi e di colpi secchi che scossero l'immobilità del mattino. Era certo che arrivassero dalla cima della collina. Corse al secondo piano, alla finestra della camera del figlio di nove anni, appena in tempo per vedere le grandi sequoie e gli abeti Douglas spezzarsi uno dopo l'altro e schiantarsi al suolo. In un istante Mike si rese conto di quello che stava accadendo: la montagna sopra la sua casa si era staccata a causa delle forti piogge e ora franava, abbattendo tutti gli alberi che incontrava.
Titolo originale: The Legacy of Luna (2000)
(Edizioni TEA - traduzione di Elisa Frontori)
Lunedì, 13 gennaio 1986. Victor Wilcox giace insonne nella stanza buia, in attesa che la sveglia al quarzo si metta a suonare. E' stata predisposta perché suoni alle sei e tre quarti. Lui non sa quanto dovrà aspettare. Potrebbe scoprirlo facilmente, cercando a tastoni l'orologio, sollevandolo a portata di vista e premendo il pulsante che illumina il display digitale. Ma preferisce non saperlo. E se fossero solo le sei? O addirittura le cinque? Potevano essere le cinque. Qualsiasi ora fosse, non ce l'avrebbe fatta a riaddormentarsi. Ultimamente era diventata un'abitudine, quella di restare sdraiato al buio in preda all'apprensione, in attesa della sveglia.
Titolo originale: Nice Work (1988)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Mary Buckwell e Rosetta Palazzi)
Era una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani, gentile lettore. Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che, dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo simile potessero vivere uomini irascibili ed irosi. Gentile lettore, anche questa è una domanda propria da giovani, molto da giovani, ma che il Signore l'ispire più spesso all'anima!...
Titolo originale: Belye noči. Sentimental'ny roman (1848)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Giovanna Spendel)
Quanta importanza ha perdere un'amante? Al vertice del regno animale la risposta è semplice: assolutamente nessuna importanza. Il coito è un'esperienza magnifica, non inferiore ai piaceri dell'escrezione o della gola. Ma ogni cosa ha una fine, specialmente le cose buone, e l'amante scolore, diventa uguale a tutti gli altri.
Mai per troppo tempo. Giustamente gli umani si preoccupano di quando torneranno a mescolarsi: noi no. Quando i ferormoni sono tranquilli, noi siamo sessualmente indifferenti. Quando si scatenano, queste miracolose sostanze chimiche ci portano immancabilmente un amante ideale, sempre all'altezza del precedente. Al livello di pavimento, non esiste amore non corrisposto.
Titolo originale: The Roaches Have No King (1994)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Bruno Amato)
Mi svegliai e mi ritrovai il messaggio nella mano sinistra. Stavo tremando. Non si trattava di un fax, di un telegramma, di un memo o della solita comunicazione che porta brutte notizie. In effetti, in mano non avevo niente. Il tremito era il messaggio.
Mi sentivo un po' disorientato. Da appena una settimana stavo lavorando a un film in Florida e quell'enorme letto a baldacchino, laccato rosa, circondato dalle tinte pastello della suite presidenziale dell'University Center Hotel rappresentava ogni mattina una specie di shock. Ah, sì: ero ancora in preda ai postumi feroci di una sbornia, ma questo era meno scioccante.
Titolo originale: Lucky Man (2002)
(Edizioni TEA - traduzione di Nicoletta Russo del Santo)
Lo spettacolo per il quale Briony aveva ideato locandine, programmi e biglietti, costruito il botteghino con un paravento sbilenco e foderato di carta rossa la cassetta dei soldi, era opera sua, frutto di due giornate di una creatività tanto burrascosa da farle saltare una colazione e un pranzo. Quando ebbe concluso i preparativi, non le restò altro da fare che contemplarne la stesura definitiva e aspettare di veder comparire i suoi cugini dal lontano nord. Ci sarebbe stato un solo giorno di tempo per le prove, prima dell'arrivo di suo fratello. A tratti pungente, spesso disperatamente triste, il dramma narrava una storia di cuore il cui messaggio, racchiuso nel prologo in rima, era che un amore non costruito su fondamenta di grande buonsenso ha il destino segnato.
Titolo originale: Atonement (2001)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Susanna Basso)
Casa Ransome era stata svaligiata. "Rapinata" disse Mrs Ransome. "Svaligiata" la corresse il marito. Le rapine si fanno in banca; una casa si svaligia. Mr Ransome era avvocato e riteneva che le parole avessero la loro importanza. Anche se in questo caso era difficile trovare un termine preciso. Di solito un ladro sceglie, fa una cernita, prende un oggetto e ne lascia altri. C'è un limite a ciò che riesce a far sparire: per esempio, è raro che porti via una poltrona, ancor più raro un divano. Questi ladri, però, l'avevano fatto. Avevano preso tutto.
Titolo originale: The Clothes They Stood Up In (2001)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Umberto Gandini)
Prendete una persona. Una persona qualsiasi.
Sulla soglia della femminilità (perché la persona in questione è una lei), Maria si ritrova nell'ufficio di Mrs Leadbetter. Mrs Leadbetter, la preside, rivolse a Maria uno sguardo radioso e le indicò con un cenno la poltrona. Fuori era buio.
"Non ti tratterrò a lungo," disse. "Volevo dirti solo questo, Maria: siamo tutti molto orgogliosi di te. In cinquantaquattro anni, sei la prima delle nostre ragazze ad aver ottenuto l'ammissione a Oxford. Che opportunità meravigliosa si presenta davanti a te. Chissà come devi essere eccitata."
Maria sorrise.
"Non amo vantarmi," disse Mrs Leadbetter, "ma quest'anno la scuola maschile ha ottenuto soltanto tre ammissioni. Su dodici nuovi iscritti, ciò equivale solo al venticinque percento. E, delle nostre due nuove arrivate, tu rappresenti un successo del cinquanta percento. Devi essere davvero fiera di te."
Titolo originale: The Accidental Woman (1987)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Stefano Massaron)
Appare sempre più probabile che riuscirò davvero ad intraprendere la spedizione che da alcuni giorni ormai tiene completamente occupata la mia fantasia. Spedizione, vorrei aggiungere, che intraprenderò da solo nella comodità della Ford di Mr Farraday; e che, a quanto prevedo, attraverso gran parte della più bella campagna inglese, mi condurrà fino alla costa occidentale del paese e riuscirà a tenermi lontano da Darlington Hall per cinque o sei giorni almeno. L'idea di un simile viaggio era nata, mi preme sottolinearlo, da una proposta delle più cortesi avanzatami da Mr Farraday in persona un pomeriggio di quasi due settimane orsono mentre spolveravo i ritratti in biblioteca.
Titolo originale: The Remains of the Day (1989)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Maria Antonietta Saracino)
Al tempo in cui si diplomò al college, John Smith aveva scordato tutto della brutta caduta sul ghiaccio in quel giorno di gennaio del 1953. Effettivamente gli sarebbe stato difficile ricordarsene anche quando terminò le scuole secondarie. Suo padre e sua madre, poi, non ne avevano mai saputo niente.
Titolo originale: The Dead Zone (1979)
(Edizioni Sperling - traduzione di A. Terzi)
Di primule non ce n'erano più. Dalla parte del bosco - dove questo finiva, l'aperta campagna scendeva in pendio fino ad un vecchio recinto, oltre il quale c'era un fossato rivestito di rovi - si vedevano ancora rare chiazze di giallo ormai sbiadito, fra l'euforbia e le radici delle querce. Di qua da quel recinto, la parte alta del campo era crivellata di buchi: tane di conigli. In alcuni punti l'erba era del tutto scomparsa e dovunque c'eran mucchietti di escrementi secchi, intorno ai quali non cresceva altro che dell'erba cardellina. Un centinaio di metri più sotto, in fondo alla pendice, scorreva il ruscello, non più largo d'un metro, mezzo soffocato da ranuncoli, nasturzi e ciuffi di vischio.
Titolo originale: Watership Down (1972)
(Edizioni Rizzoli - traduzione di Pier Francesco Paolini)
Chi a Zamonia sentiva il bisogno di una perfetta armonia andava in vacanza nella Grande Foresta. Un soggiorno nella Grande Foresta garantiva natura boschiva della specie più variegata, perché soltanto qui le latifoglie e le aghifoglie campavano insieme d'amore e d'accordo, le querce ciclopiche crescevano accanto alle druiche betulle, i larici megeri si ergevano verso il cielo accanto agli abeti fiorintesi, e vi si aggiravano unicornetti, scarpolastri e picchi oracolanti.
Titolo originale: Ensel und Krete (2001)
(Edizioni Salani - traduzione di Umberto Gandini)
Già torna a scuotermi Eros
che scioglie le membra,
dolceamara, indomabile, oscura
belva.
Saffo
Ecco dove accadde. Lei è stata qui. Questi leoni di pietra, ora senza testa, l'hanno fissata. Questa fortezza, una volta inespugnabile, cumulo di pietre ora, fu l'ultima cosa che vide. Un nemico da tempo dimenticato e i secoli, sole, pioggia, vento, l'hanno spianata. Immutato il cielo, un blocco d'azzurro intenso, alto, distante. Vicine, ogg come ieri, le mura ciclopiche che orientano il cammino: verso la porta dal cui fondo non fiotta più sangue. Nelle tenebre. Nel macello. E sola.
Con questo racconto vado nella morte.
Termino qui, impotente, e niente, niente di quello che avrei potuto fare o non fare, volere o pensare, mi avrebbe condotto a una meta diversa. Più profondamente di ogni altro moto dell'animo, più profondamente persino della mia paura, mi impregna, mi corrode, mi avvelena l'indifferenza dei celesti verso noi terreni. Naufragata l'audace impresa di opporre il nostro debole calore alla loro gelidità.
Titolo originale: Kassandra (2007)
(Edizioni e/o - traduzione di Anita Raja)
LETTERA I. Cécile Volanges a Sophie Carnay
Al Collegio delle Orsoline di ...
Cara amica, come vedi mantengo la parola; le cuffie e i pompons non occupano tutto il mio tempo: per te ne rimarrà sempre. Eppure ho veduto più abiti nella sola giornata di oggi che nei quattro anni che abbiamo trascorso insieme; e credo che la tua superbiosa Tanville - che manderò a chiamare la prima volta che verrò in visita - proverà alla mia vista ancor più rabbia di quella che ha creduto di farne a noi tutte le volteche è venuta a trovarci in fiocchi. Mammà ha chiesto il mio parere su tutto e non mi tratta più da collegiale come in passato. Ho una cameriera personale, una camera e adesso scrivo su uno scrittoio delizioso di cui m'han dato la chiave e in cui posso rinchiudere qualsiasi cosa. Mammà mi ha detto che potrò vederla ogni giorno, appena si sarà alzata; basterà che sia in ordine per l'ora di colazione, dato che saremo sempre sole, poi ogni giorno mi dirà a che ora dovrò andar da lei nel pomeriggio. Per il resto del tempo posso fare quel che voglio. L'arpa, il disegno e le letture come in collegio, ma per fortuna qui non c'è Madre Perpetua pronta a rimproverarmi. Volendo potrei anche non far nulla in tutta la gornata, ma poiché non ho la mia Sophie per chiaccherare e scherzare, preferisco aver qualcosa da fare.
Titolo originale: Les Liaisons Dangereuses (1782)
(Edizioni Newton - traduzione di Lucio Chiavarelli)
Quando vidi Finn che mi aspettava all'angolo della strada, immaginai subito che doveva essere successo qualcosa. Di solito Finn mi aspettava a letto, oppure se ne stava appoggiato contro lo stipite della porta con gli occhi chiusi. Questa volta, per di più, ero in ritardo a causa dello sciopero. Il viaggio di ritorno in Inghilterra mi sembra sempre interminabile; e finché non mi sono tuffato di nuovo nella mia cara Londra in modo da dimenticare di esserne mai partito sono inconsolabile. Potete immaginare perciò che divertimento fosse per me rimanermene a Newhaven in attesa che i treni riprendessero a funzionare e con l'odore della Francia ancora fresco nelle narici. Per di più, questa volta mi avevano sequestrato le bottiglie di cognac che porto sempre con me di straforo e così, dopo la chiusura dei pub, caddi im preda ai tormenti di una morbosa introspezione.
Titolo originale: Under The Net (1954)
(Edizioni Rizzoli - traduzione di Argia Micchettoni)
La foto in cornice che June Tremaine teneva sul tavolino accanto al letto aveva una duplice funzione: ricordare a lei e a far conoscere ai visitatori quella bella ragazza il cui viso, a differenza di quello del marito, nascondeva ogni indizio della piega che la sua vita avrebbe preso. L'istantanea risale al '46, un paio di giorni dopo le nozze e una settimana prima della partenza per la luna di miele in Italia e in Francia. La coppia vi appare a braccetto, ai cancelli d'ingresso del British Museum. Forse era stata scattata nell'intervallo di mezzogiorno, perché lavoravano entrambi nei pressi, e nessuno dei due aveva potuto lasciare l'ufficio fino a pochi giorni prima di partire. L'uomo e la donna si stringono l'uno contro l'altra come se avessero timore di superare i margini della fotografia. E rivolgono all'obiettivo sorrisi di autentica gioia.
Titolo originale: Black Dogs (1992)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Susanna Basso)
Il primo lunedì del mese d'aprile del 1625, il borgo di Meung, dove nacque l'autore del Romanzo della Rosa, sembrava essere in completa rivoluzione, proprio come se gli Ugonotti fossero giunti per fare di esso una seconda Rochelle. Molti abitanti, vedendo le donne fuggire dalla parte della Gran Via e sentendo i bimbi strillare sulle porte, si affrettavano a indossare la corazza e, rafforzando il loro coraggio alquanto dubbio con un archibugio o una partigiana, si dirigevano verso l'osteria del Franc-Meunier, davanti alla quale si pigiava, ingrossando di minuto in minuto, un gruppo di popolo compatto, rumoroso e curioso. In quel tempo ci si spaventava con molta facilità e quasi tutti i giorni una città o l'altra registrava nei propri archivi fatti di questo genere. C'erano i signori che guerreggiavano fra loro; c'era il Re che faceva guerra al Cardinale; c'era lo Spagnuolo che faceva guerra al Re. Poi, oltre queste guerre celate o pubbliche, segrete o palesi, c'erano i ladri, i mendicanti, gli Ugonotti, i lupi e i servi che facevano guerra a tutti. I cittadini s'armavano sempre per difendersi dai ladri, dai lupi, dai servi; spesso dai signori e dagli Ugonotti, qualche volta dal Re; mai però dal Cardinale o dagli Spagnuoli. Da questa abitudine ormai inveterata, risultò che il già detto primo lunedì del mese d'aprile del 1625, gli abitanti di Meung, sentendo rumore e non vedendo né la bandiera gialla e rossa, né la livrea del duca di Richelieu, si precipitaronon verso l'osteria del Franc-Meunier dalla quale proveniva il chiasso. E non appena arrivati, poterono appurarne la causa.
Titolo originale: Les Trois Mosquetaires (1844)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Antonio Beltramelli)
Nell'ultimo quarto del secolo ventesimo, in un periodo in cui la civiltà occidentale declinava troppo in fretta per il bene comune ma anche troppo lentamente per suscitare particolari entusiasmi, gran parte del mondo se ne stava tutto teso sull'orlo d'una poltroncina di platea sempre più costosa, apettando – con un variabilissimo miscuglio di paura, speranza ed ennui – che accadesse qualcosa di importante.
Qualcosa d'importante non poteva non essere sul punto di accadere. Ma di cosa si sarebbe trattato? Eppoi, sarebbe stato apocalittico o rinnovante? Una cura per il cancro o un bang nucleare? Un mutamento nel clima o nelle maree? Sismi in California, api assassine a Londra, gli arabi in Borsa, nascite in provetta o un UFO sul prato della Casa Bianca? Sarebbero spuntati i baffi alla Gioconda? Sarebbe precipitato il dollaro?
I cristiani abbonati all'idea della Seconda Venuta erano convinti che, dopo duemila anni di tesissimo intervallo, l'altra scarpa stava per cadere.
Cinque dei più noti veggenti del momento, riunitisi al Chelsea Hotel, predissero che l'Atlantide sarebbe presto risorta dalle acque.
Al che la Principessa Leigh-Cheri commentava: «Esistono due continenti perduti... uno era le Hawai, detto Mu, la madre, la cui punta si proietta tuttora sui nostri sensi – la terra delle danze schiaffeggiate, della musica pescatrice, dei fiori e della felicità. Esistono tre continenti perduti... Uno siamo noi: gli amanti».
Quale che sia la stima per il pensiero geografico della Principessa Leigh-Cheri, occorre ammettere che l'ultimo quarto di secolo era stato nero per gli amanti. Un'epoca in cui le donne avevano apertamente osteggiato i maschi, in cui i rapporti romantici avevano assunto il carattere raro del ghiaccio a primavera, relegando non pochi pargoli su frastagliate e inospitali banchise galleggianti.
Non si sapeva più come pensare alla luna.
Titolo originale: Still Life with Woodpecker (1980)
(Edizioni Baldini Castoldi Dalai - traduzione di Francesco Franconeri)
Mi trovavo nel Surrey in missione per conto di Lord Thomas Cromwell, quando arrivò la convocazione. Le terre di un monastero dissolto erano state assegnate a un membro del Parlamento del cui appoggio Lord Cromwell aveva bisogno, e i documenti che sancivano il titolo di proprietà di alcuni terreni boscosi erano spariti. Li avevo rintracciati senza difficoltà, quindi avevo accettato con gioia l'invito del parlamentare a trascorrere qualche giorno presso la sua famiglia. Ora stavo godendomi quel breve riposo, nella quiete di inizio autunno, prima di far ritorno a Londra e all'esercizio della mia professione. Sir Stephen possedeva una deliziosa e recente magione in mattoni dalle gradevoli proporzioni e io mi ero offerto di farne un disegno, ma ero riuscito ad abbozzarne solo pochi schizzi, quando giunse un cavaliere.
Titolo originale: Dissolution (2007)
(Edizioni Sperling & Kupfer - traduzione di Giulia Balducci)
A Windsor quella sera c'era il banchetto ufficiale, e mentre il presidente francese si affiancava a Sua Maestà la famiglia reale si schierò alle loro spalle, e la processione si avviò lentamente verso la sala Waterloo.
«Adesso che possiamo parlarle a quattrocchi,» disse la regina sorridendo a destra e a sinistra mentre avanzavano fra gli ospiti sfolgoranti «vorremmo tanto chiederle la sua opinione sullo scrittore Jean Genet».
«Ah» disse il presidente. «Oui».
La Marsigliese e l'inno nazionale li costrinsero a interrompersi, ma una volta seduti Sua Maestà riprese da dove era rimasta.
«Omosessuale e avanzo di galera... ma era davvero come l'hanno dipinto? E il suo talento» e sollevò il cucchiaio da consommé «era davvero così straordinario?».
Non essendo stato ragguagliato sul glabro drammaturgo e romanziere, il presidente si guardò attorno stravolto in cerca del ministro della Cultura. Ma costei era immersa in conversari con l'arcivescovo di Canterbury.
«Jean Genet,» ripeté premurosa la regina «vous le connaissez?».
«Bien sûr» disse il presidente.
«Il nous intéresse» ribadì Sua Maestà.
«Vraiment?».
Il presidente posò il cucchiaio. Lo attendeva una lunga serata.
Titolo originale: The Uncommon Reader (2007)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Monica Pavani)
Racconto di un naufrago
che andò per dieci giorni
alla deriva in una zattera
senza né mangiare né bere,
che fu proclamato eroe della patria,
baciato dalle reginette di bellezza
e reso ricco dalla pubblicità,
e poi aborrito dal governo
e dimenticato per sempre
I
Come erano i miei compagni morti in mare
Il 22 febbraio ci fu comunicato che saremmo ritornati in Colombia. Avevamo trascorso otto mesi a Mobile, Alabama, Stati Uniti, dove l'A.R.C. "Caldas" era stato sottoposto a riparazioni elettroniche e alle attrezzature. Mentre riparavano la nave, noi membri dell'equipaggio frequentavamo un corso di specializzazione. Nei giorni di franchigia facevamo quel che fanno tutti i marinai a terra: andavamo al cinema con la ragazza e poi ci riunivamo da "Joe Palooka", una bettola del porto, dove bevevamo whisky e di tanto in tanto facevamo cagnara.
Titolo originale: Relato de un náufrago (1970)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Cesare Acutis)
Ad Antoine era sempre sembrato di avere l'età dei cani. Quando aveva sette anni, si sentiva logorato come un uomo di quarantanove; a undici, aveva il disincanto di un vecchio di settantasette. Ora, a venticinque anni, sperando in una vita un po' più dolce, Antoine decise di coprire il proprio cervello con il sudario della stupidità. Troppo spesso aveva osservato che l'intelligenza è parola che designa sciocchezze ben costruite e graziosamente enunciate, ed è talmente traviata che sovente è più vantaggioso essere stupidi che intellettuali doc. L'intelligenza rende infelici, solitari, poveri, mentre mascherarla permette un'immortalità da rotocalco e l'ammirazione di quelli che credono in ciò che leggono.
Titolo originale: Comment je suis devenu stupide (2001)
(Edizioni Garzanti - traduzione di Roberto Rossi)
Il numero uno dell'Avenue de Marigny a Parigi è una casa grande e quadrata di aspetto scuro e venerando. L'edificio sorge all'incrocio dell'Avenue de Marigny con l'Avenue Gabriel, a un breve isolato di distanza dagli Champs-Elysées e di fronte al palazzo dell'Eliseo, residenza del Presidente della Repubblica Francese. Il numero uno confina con una corte dal tetto a vetri; sull'altro lato di questa sorge un edificio alto e stretto, un tempo destinato alle scuderie e agli alloggi dei cocchieri. Al pianterreno ci sono sempre le scuderie, abbellite da mangiatoie e abbeveratoi di marmo scolpito, mentre sopra di esse si alzano tre ameni piani, una piccola ma bella casa nel cuore di Parigi. Al secondo piano grandi porte a vetri si aprono sulla parte scoperta del cortile che unisce i due stabili.
Titolo originale: The Short Reign of Pippin IV (1957)
(Edizioni Rizzoli - traduzione di Giulio De Angelis)
Quando suonò il telefono, Gill era fuori a rastrellare le foglie in mucchi ramati, mentre suo marito le spalava in un falò. Era una domenica pomeriggio di fine autunno. Gill corse in cucina non appena udì gli squilli, e immediatamente si sentì avviluppare dal calore dell'interno, non essendosi resa conto, fino a quel momento, di come l'aria s'era fatta gelida. Con ogni probabilità, nella notte ci sarebbe stata una gelata.
Dopo tornò sul vialetto verso il piccolo falò, da cui si levavano volute di fumo grigio-azzurre, in un ciclo che stava già cominciando a scurire.
Stephen si girò sentendola arrivare. Nei suoi occhi lesse cattive notizie e il pensiero andò subito alle figlie: ai paventati pericoli del centro di Londra, alle bombe, ai tragitti in metro e in autobus che da comune routine si erano trasformati in scommesse con la vita e con la morte.
"Che succede?"
Titolo originale: The Rain Before It Falls (2007)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Delfina Vezzoli)
Dinnie, nemico sovrappeso dell'umanità, nonché uno dei più abominevoli suonatori di violino di tutta New York, stava valorosamente esercitandosi al suo strumento, quando due deliziose fatine apparvero sul davanzale del suo appartamento al quarto piano, ruzzolarono dentro e vomitarono sulla moquette.
"Mi dispiace", disse una.
"Non ti preoccupare", disse l'altra. "Per gli esseri umani il vomito di fata ha senza dubbio un delizioso profumo".
A quel punto, però, Dinnie aveva già fatto due piani di scale di corsa e non aveva nessuna intenzione di rallentare.
"Si sono appena infilate in casa mia dalla finestra due fate che hanno vomitato sulla moquette!", proruppe non appena si ritrovò sul marciapiede della 4ª Strada, trascurando, tuttavia, di calcolare l'effetto che un simile comportamento avrebbe avuto sui passanti.
Titolo originale: The Good Fairies of New York (1992)
(Edizioni Lain - traduzione di Lucia Olivieri)
L'anno dei miei novant'anni decisi di regalarmi una notte d'amore folle con un'adolescente vergine. Mi ricordai di Rosa Cabarcas, la proprietaria di una casa clandestina che era solita avvertire i suoi buoni clienti quando aveva una novità disponibile. Non avevo mai ceduto a questa né ad altre delle sue molte tentazioni oscene, ma lei non credeva nella purezza dei miei principi. Anche la morale è una questione di tempo, diceva, con un sorriso maligno, te ne accorgerai. Era un po' più giovane di me, e non avevo sue notizie da così tanti anni che poteva benissimo essere morta. Ma al primo squillo riconobbi la voce al telefono, e le sparai senza preamboli:
«Oggi sì.»
Lei sospirò: Ah, mio triste professore, scompari per vent'anni e torni solo per chiedere l'impossibile. Subito dopo riacquistò il dominio della sua arte e mi offrì una mezza dozzina di scelte allettanti, ma, questo sì, tutte usate. Insistetti che no, che doveva essere pulzella e per quella stessa notte.
Titolo originale: Memoria de mis putas tristes (2004)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Angelo Morino)
Si racconta che Tanuki fosse caduto dal cielo usando il suo scroto come paracadute.
Assurdo, sì, ma nemmeno tanto, se si tiene conto dell'insolita dimensione dello scroto di Tanuki.
Be', d'accordo, è sempre piuttosto assurdo... e non lo è meno solo perché, in rapporto alla complessiva massa corporea, lo scroto di Tanuki è in proporzione più grande di quello degli elefanti, delle balene e del Jolly Green Giant. A quei tempi, il suo saccone testicolare sarà anche stato più voluminoso di quanto lo è oggi, sebbene questo sia difficile da immaginare dato che già così le palle quasi gli strascicano in terra, e qualsiasi aumento del volume sarebbe stato sicuramente di impedimento alla mobilità, se non addirittura fonte di qualche sofferenza. C'è anche la possibilità che Tanuki avesse (e forse ha ancora) il potere di aumentare o diminuire a volontà le dimensioni dello scroto.
Titolo originale: Meet Me Incognito (2003)
(Edizioni Baldini Castoldi Dalai - traduzione di Hilia Brinis)
Il mio vero nome è così noto negli incartamenti e nei registri di Newgate e dell'Old Bailey, e vi si ricollegano fatti di tale importanza, per quel che riguarda la mia personale condotta, che non ci si può aspettare che scriva per esteso in questo libro il mio nome o una relazione sulla mia famiglia. Forse, dopo la mia morte, sarà meglio conosciuto; attualmente non sarebbe davvero conveniente, nemmeno se concedessero una amnistia generale, senza eccezione né riserva di persone e reati.
Basterà dirvi che, siccome alcuni dei miei peggiori compagni, i quali non possono più farmi del male (essendo usciti da questo mondo per la strada della scala e della forca, come spesso ho temuto che capitasse a me), mi conobbero sotto il nome di Moll Flanders, voi potrete concedermi di parlare di me con questo nome finché non oserò confessare chi son stata e chi sono.
Titolo originale: The Fortunes and Misfortunes of the Famous Moll Flanders (1722)
(Edizioni Rizzoli - traduzione di Ugo Dèttore)
Egli - poiché dubbio non v'era sul suo sesso, per quanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse - stava prendendo a piattonate la testa di un moro, che dondolava appesa alle travi del soffitto. Aveva essa la tinta d'una vecchia palla di cuoio; e quasi ne avrebbe avuto la forma, se non fosse stato per il cavo delle guance, e i pochi capelli duri e aridi come barbe d'una noce di cocco. Il padre di Orlando, o forse il nonno, l'aveva spiccata dal busto del gigantesco Infedele che gli s'era parato davanti improvviso al chiaro di luna, nelle barbare distese africane, e ora essa oscillava dolcemente, incessantemente, alla brezza perenne che soffiava per le logge in cima alla vasta dimora del signore che aveva decapitato l'Infedele.
Titolo originale: Orlando: A Biography (1928)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Grazia Scalero)
Macchiffastapuzza, si chiese Gabriel, arcistufo. Impossibile, mai che si puliscano. Sul giornale c'è scritto che a Parigi non c'è nemmeno l'undici per cento di appartamenti col bagno, non c'è da meravigliarsi, ma ci si può lavare anche senza. Tutti questi che mi stan d'attorno, però, devo dire che mica fanno di gran sforzi. D'altra parte, perchè dovrebb'essere una selezione fra i più lerci di Parigi? Non c'è motivo. È il caso. È assurdo supporre che la gente che sta aspettando alla Gare d'Austerlitz puzzi più di quella che aspetta alla Gare de Lyon. No, via, non ci sarebbe proprio motivo. Però, dico: ma che odore.
Titolo originale: Zazie dans le métro (1959)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Franco Fortini)
Un gruppo di uomini barbuti, vestiti di scuro sotto gli alti cappelli grigi, e di donne - alcune incappucciate, altre a testa nuda - era raccolto davanti a un edificio di legno, dalla massiccia porta di quercia tempestata di grossi chiodi di ferro.
I fondatori di una nuova colonia, qualunque sia l'ideale di giustizia e di felicità umana che li muove, sanno che uno dei loro primi compiti consiste nel destinare una zona del territorio al cimitero e un'altra alla costruzione di una prigione.
Titolo originale: The Scarlet Letter (1850)
(Edizioni Corriere della Sera, I grandi Romanzi - traduzione di Bruno Tasso)
La sala di Palazzo Borgogna nel 1640. Una specie di capannone per il gioco della palla adattato ad uso teatrale.
Vari manifesti rossi sui quali si legge La Cloreste.
La sala è ancora semibuia.
SCENA I. Il pubblico, che comincia a entrare a poco a poco. Cavalieri, borghesi, servi, paggi, un ladro, il portinaio, ecc.
(Si sente dietro la porta un vociare, poi un cavaliere entra bruscamente.)
IL PORTINAIO (inseguendolo): Ehi, Voi! Quindici soldi!
IL CAVALIERE: Io entro gratis!
IL PORTINAIO: E perché?
IL CAVALIERE: Sono cavalleggero del re!
IL PORTINAIO (a un altro cavaliere che entra): E voi?
SECONDO CAVALIERE: Non pago!
IL PORTINAIO: Ma...
SECONDO CAVALIERE: Sono moschettiere!
PRIMO CAVALIERE (al secondo): Non comincia che alle due. La sala è vuote. Tiriamo di fioretto. (Tirano di scherma.)
UN SERVO (entrando): Ehi, Flanquin...
UN ALTRO (già arrivato): Champagne?
IL PRIMO (mostrandogli dei giochi che tira fuori dalla giubba): Carte. Dadi (Si siede per terra) Giochiamo.
IL SECONDO (si siede anche lui): Sì caro.
IL PRIMO (tirando di tasca un mozzicone di candela che accende e fissa per terra): Ho preso un po' di luce al mio padrone.
UNA GUARDIA (a una fioraia che viene avanti): Carino da parte tua venire prima che accendano le luci!... (la stringe in vita).
UNO DEGLI SCHERMIDORI (ricevendo un colpo): Toccato!
UN GIOCATORE: Fiori!
LA GUARDIA (inseguendo la ragazza): Un bacio!
LA FIORAIA (divincolandosi): Ci vedono!...
LA GUARDIA (trascinandola in un angolo buio): Qui no!
UN UOMO (sedendo a terra con altri, che hanno portato da mangiare): Quando si arriva prima, si ha pure il tempo di mangiare!
UN BORGHESE (col figlio): Vieni, sistemiamoci là.
UN GIOCATORE: Tris d'assi!
Titolo originale: Cyrano de Bergerac (1897)
(Edizioni Newton - traduzione di Franco Cuomo)
Prologo
Nell'aprile del 1953, un anno prima di morire all'età di quarantasette anni, Frida Kahlo ebbe la prima importante retrospettiva messicana delle sue opere pittoriche. La sua salute si era ormai talmente deteriorata che nessuno si aspettava di vederla all'inaugurazione. Ma alle otto di sera, un attimo dopo che le porte della Galleria d'arte contemporanea di Città del Messico si furono aperte al pubblico, arrivò un'ambulanza. L'artista, vestita del suo prediletto costume messicano, venne portata in barella fino al grande letto che già dal pomeriggio era stato installano nella galleria. Il letto era decorato come piaceva a lei, con fotografie del marito, il grande muralista Diego Rivera, e dei suoi eroi politici, Malenkov e Stalin. Scheletri di cartapesta pendevano dal baldacchino alla cui volta era stato fissato uno specchio che rifletteva il suo volto devastato eppure splendente di gioia. A uno a uno, duecento tra amici e ammiratori andarono a congratularsi con Frida, quindi formarono un circolo intorno al suo letto e si misero a intonare con lei ballate messicane che durarono fino a notte inoltrata.
Titolo originale: Frida, A life of Frida Kahlo (1983)
(Edizioni La Tartaruga - traduzione di Maria Nadotti)
La prima volta che incontrai Dean fu poco tempo dopo che mia moglie e io ci separammo. Avevo appena superato una seria malattia della quale non mi prenderò la briga di parlare, sennonché ebbe qualcosa a che fare con la triste e penosa rottura e con la sensazione da parte mia che tutto fosse morto. Con l'arrivo di Dean Moriarty ebbe inizio quella parte della mia vita che si potrebbe chiamare la mia vita lungo la strada.
Titolo originale: On the road (1959)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Magda de Cristofaro)
Intorduzione
Un orso di mare ha ventisette vite. Di tredici e mezzo delle mie vite riferirò in questo libro. Sulle altre, invece, tacerò. Anche un orso ha diritto a certi lati oscuri: lo rendono pià interessante e misterioso.
Ci si chiede spesso com'erano un tempo le cose. Io rispondo: un tempo, c'era di tutto molto di più. Sissignori: isole, regni arcani e interi continenti che oggi sono scomparsi, subissati dalle onde e sprofondati nell'eternità degli oceani. Infatti il livello dei mari cresce di continuo, molto lentamente ma inesorabilmente, e verrò il giorno in cui tutto il nostro pianeta sarà coperto dalle acque. Non per niente la mia casa è in cima a uno scoglio e non per niente può fungere, all'occorrenza, anche da robusta imbarcazione.
Vi narrerò di quelle isole e di quei paesi, oltre che degli esseri e dei portenti sprofondati con loro.
Titolo originale: Die 13½ Leben des Käpt’n Blaubär (1999)
(Edizioni Salani - traduzione di Umberto Gandini)
LA SPECIALITÀ DEL GIORNO
La barbabietola è il genere di verdura più profondo. Il ravanello, è senza dubbio il più febbrile, però il suo è un fuoco freddo, il fuoco dell'insoddisfazione e non della passione. I pomodori sono già più gagliardi, attraversati però da una vena frivola. Le barbabietole, invece, sono mortalmente serie.
I popoli slavi traggono le loro caratteristiche fisiche dalle patate, la loro latente inquietudine dal rafano, la loro gravità dalle barbabietole.
La barbabietola è un tipo di verdura malinconico, quello più disposto a soffrire. Non si può di certo cavar sangue da una rapa...
La barbabietola è l'omicida che torna sul luogo del delitto. La barbabietola è quel che succede quando la ciliegia la fa finita con la carota. La barbabietola è l'antenna della luna d'autunno, barbuta, sepolta, pressoché fossilizzata; le vele verde scuro del vascello lunare impantanato percorse da vene di plasma primordiale; il filo dell'aquilone che una volta legava la luna alla terra e che adesso è un peluzzo infangato che scava disperatamente in cerca di rubini.
Titolo originale: Jitterbug Perfume (1984)
(Edizioni Baldini&Castoldi - traduzione di Francesco Franconeri)
Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.
Titolo originale: The Kite Runner (2003)
(Edizioni Piemme - traduzione di Isabella Vaj)
Il fornaio si grattò i baffi neri con l'indice infarinato, imbiancandoli quanto bastava per apparire più vecchio di dieci anni. Intorno a lui gli scaffali e i banchi erano pieni di lunghe pagnotte fresche e croccanti e quel profumo casalingo gli saturava le narici e gli faceva gonfiare il petto di orgoglio soddisfatto. Era la seconda infornata della mattina: le vendite andavano bene perché il tempo era splendido. Bastava un po' di sole per indurre le casalinghe di Parigi a uscire per comprare il suo ottimo pane.
Titolo originale: The Modigliani Scandal (1976)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Roberta Rambelli)
Hai mai contemplato le stelle? Sei mai rimasto fuori a lungo, soltanto per contemplare le stelle? Così a lungo da sentirti girare la testa. Non perché tenevi la testa piegata all'indietro, ma perché il tuo sguardo arrivava tanto lontano.
Più la notte è nera, più in là riusciamo a vedere nello spazio celeste...
Hai mai pensato cosa c'è dietro le stelle? Altre stelle, naturalmente. Ma dietro a quelle?
Cosa c'è al di là di tutto?
Al di là tutto ciò che esiste, c'è il paese di Sukhavati.
Titolo originale: Barna Fra Sukhavati (1987)
(Edizioni Salani - traduzione di Laura Congemi)
Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati, che avete la fortuna di abitare nello Spazio.
Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre Figure geometriche, invece di restar ferme al loro posto, si muovono qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potersene sollevare e senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma - consistenti, però, e sai contorni luminosi. Così facendo avrete un'idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compatrioti. Ahimè, ancora qualche anno fa avrei detto: "del mio universo", ma ora la mia mente si è aperta a una più alta visione delle cose.
Titolo originale: Flatland - A Romanve of Many Dimensions (1882)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Masolino d'Amico)
Ore 16
Il giorno in cui la Borsa casca dal letto e si rompe la schiena è il peggiore della tua vita. O così credi. Non è il peggiore della tua vita, ma tu pensi che lo sia. E quando dai voce a quel pensiero, lo fai con convinzione e con un minimo di abbellimento retorico. "Questo è il giorno peggiore della mia vita", dici, mentre lasci cadere una nocciolina salata nel tuo Martini doppio - in giorni migliori, bevi vino bianco - e la guardi andare a fondo. Scende a spirale più lentamente, con tanto più garbo delle tue fortune personali, le graziose bollicine di gin che si raccolgono intorno alla nocciolina in netto contrasto con i groppi, le lappole e le spine che si stanno attaccando al tuo cuore.
Titolo originale: Half Asleep in Frog Pajamas (1994)
(Edizioni Baldini&Castoldi - traduzione di Hilia Brinis)
Nell'autunno del 1995, dopo aver dato le dimissioni dal mio ultimo incarico accademico, decisi di farmi un regalo e realizzare un sogno. Chiesi alle sette migliori studentesse che avevo di venire a casa mia il giovedì mattina per parlare di letteratura. Erano tutte ragazze, dato che, per quanto si trattasse di innocui romanzi, insegnare a una classe mista in casa propria sarebbe stato troppo rischioso. Fra gli studenti maschi, Nima fu l'unico a rivendicare con ostinazione i pro-pri diritti, così acconsentii a passargli il materiale che assegnavo e, di tanto in tanto, a vederci da me per parlare dei libri che stavamo leggendo.
Spesso mi divertivo a punzecchiare le mie studentesse e, citando Gli anni fulgenti di Miss Brodie di Murici Spark, domandavo: "Chi di voi mi tradirà?". Essendo pessimista per natura, ero certa che almeno una mi si sarebbe rivoltata contro. Nassrin una volta mi rispose con malizia: "Ma se è stata proprio lei a dirci che alla fine siamo sempre noi a tradire noi stessi, a diventare il Giuda del nostro stesso Cristo!". Manna invece mi fece notare che io non ero affatto Miss Brodie e loro, be', loro erano quello che erano. Mi rammentò inoltre una delle mie raccomandazioni: non sminuire mai, in nessuna circostanza, un'opera letteraria cercando di trasformarla in una copia della vita reale; ciò che cerchiamo nella letteratura non é la realtà, ma una epifania della verità. Eppure, credo che se dovessi disobbedire ai miei stessi ammonimenti e indicare il romanzo che meglio di ogni altro riflette la nostra vita nella Repubblica islamica dell'Iran, non sceglierei Gli anni fulgenti di Miss Brodie, e nemmeno 1984; semmai Invito a una decapitazione di Nabokov oppure, meglio ancora, Lolita.
Titolo originale: Reading Lolita in Tehran (2003)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Roberto Serrai)
Al galoppo sul mio cavallo, sfilavo fra i ventilatori.
Avevo sette anni. Niente era più piacevole che avere troppa aria nel cervello. Più la velocità fischiava, più entrava ossigeno che faceva piazza pulita.
Il mio destriero arrivò alla piazza del Grande Ventilatore, volgarmente detta piazza Tien An Men. Prese a destra, per il viale della Bruttezza Abitabile.
Tenevo le redini con una mano. L'altra mano si abbandonava a un'esegesi della mia immensità interiore, carezzando ora il dorso del cavallo, ora il cielo di Pechino.
L'eleganza del mio equilibrio lasciava senza fiato i passanti, gli sputi, gli asini e i ventilatori.
Non avevo bisogno di spronare la mia cavalcatura. La Cina l'aveva creata a mia immagine: era una fanatica delle grandi velocità. Andava a passione interiore e a folle in delirio.
Fin dal primo giorno avevo capito l'assioma: nella Città dei Ventilatori, tutto quello che non era splendido era orribile.
Il che equivale a dire che quasi tutto era orribile.
Corollario immediato: la bellezza del mondo ero io.
Titolo originale: Le sabotage amoureux (1993)
(Edizioni Guanda - traduzione di Alessandro Grilli)
Quando il mio vecchio appartamento era ancora vuoto, avevo preso l'abitudine di starmene seduto alla finestra a contemplare New York; anche se in realtà tutto ciò che riuscivo a vedere era un enorme condominio e la gente che entrava e usciva dalle porte girevoli.
Un passatempo che può sembrare noioso, e spesso lo era, tanto che a volte m'incantavo a fissare il mio riflesso nel vetro, dimentico delle esistenze che si svolgevano al di là di esso. Di quando in quando, di solito verso mezzanotte, da dietro l'angolo sbucavano le coppiette: tornavano a casa dopo un appuntamento e indugiavano a lungo, decisamente a lungo, a parlare fuori. Allora sì che guardavo, cercando di non fumare troppo, in attesa dei miei mobili e pensando: eh già, sono proprio qui. Se qualcuno vuole chiamarmi, adesso deve chiamare la Grande Mela.
Titolo originale: The Hottest State (1996)
(Edizioni Sonzogno - traduzione di Maria Barbara Piccioli)
Nessuno pensa mai che potrebbe ritrovarsi con una morta tra le braccia e non rivedere mai più il viso di cui ricorda il nome. Nessuno pensa mai che qualcuno possa morire nel momento più inopportuno anche se questo capita di continuo, e crediamo che nessuno se non chi sia previsto dovrà morire accanto a noi. Molte volte si nascondono i fatti o le circostanze: i vivi e quello che muore - se ha il tempo di accorgersene - spesso provano vergogna per la forma della morte possibile e per le sue apparenze, e anche per la causa. Una indigestione di frutti di mare, una sigaretta accesa quando si sta per prendere sonno che dà fuoco alle lenzuola, o anche peggio, alla lana di una coperta; uno scivolone nella doccia - la nuca - e la porta del bagno chiusa a chiave, un fulmine divide l'albero in un grande viale e quell'albero cadendo schiaccia o stacca la testa di un passante, forse uno straniero; morire con indosso soltanto i pedalini, o dal barbiere con un grande bavaglino, al postribolo o dal dentista; o mangiando il pesce e trafitto da una spina, morire strozzandosi come il bambino la cui madre non è lì a infilargli un dito in gola per salvarlo; morire rasati a metà, con una guancia coperta di schiuma e la barba diseguale fino alla fine dei tempi se nessuno rimedia e per pietà estetica non conclude il lavoro; per non citare i momenti più ignobili dell'esistenza, i pià nascosti, di cui non si parla mai se non durante l'adolescenza, perché al di fuori di questa non c'è il pretesto, anche se c'è poi chi li sbandiera per apparire arguto senza ruscirci mai. Ma quella è una morte orrenda, si dice di certe morti; ma quella è una morte ridicola, si dice anche, sghignazzando.
Titolo originale: Mañana en la batalla piensa en mí (1994)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Glauco Felici)
I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca si sono verificati nel 194… a Orano; per opinione generale, non vi erano al loro posto, uscendo un po’ dall’ordinario: a prima vista, infatti, Orano è una città delle solite, null’altro che una prefettura francese della costa algerina.
La città in se stessa, bisogna riconoscerlo, è brutta. Di aspetto tranquillo, occorre qualche tempo per accorgersi di quello che la fa diversa da tante altre città mercantili, sotto tutte le latitudini. Come immaginare, a esempio, una città senza piccioni, senza alberi e senza giardini, dove non si trovano né battiti d'ali né fruscii di foglie, un luogo neutro, insomma? Il mutamento delle stagioni non vi si legge che nel cielo.
Titolo originale: La Peste (1947)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Beniamino Dal Fabbro)
Mio padre mi camminava accanto per darmi coraggio e con la mano sfiorava lieve i pizzi che ornavano le spalle del mio corpetto. La luce abbagliante, quasi allo zenit, infuocava già le pietre che pavimentavano la piazza. Sopra Tor di Nona, l'ombra immobile del nodo scorsoio dell'Inquisizione, il tribunale papale, si proiettava in modo sinistro sul muro e il suo profilo pareva l'immagine di una lacrima.
"Un disagio di breve durata, Artemisia", disse mio padre, guardando dritto davanti a sé, "Non più di una piccola strizzatina".
Stava parlando della sibilla.
Titolo originale: The Passion of Artemisia (2002)
(Edizioni Neri Pozza - traduzione di Francesca Diano)
1801
Eccomi di ritorno da una visita al mio padrone di casa... il solo vicino che mi toccherà sopportare. Questa è certamente una bella contrada. In tutta l'Inghilterra non mi sarei potuto scegliere un posto più completamente distaccato dal turbinio della vita sociale. È il paradiso del prefetto misantropo e Mr Heathcliff e io siamo fatti apposta per spartirci questa desolazione. Uomo straordinario! Egli era lontano dall'immaginare come il mio cuore s'accendesse di simpatia per lui quando i suoi occhi neri, vedendomi avanzare a cavallo, si mossero pieni di sospetto sotto le sopracciglia e le sue dita, mosse da diffidenza mentre io pronunciavo il mio nome, si rifugiarono, con gesto risoluto, più profondamente nel panciotto.
Titolo originale: Wuthering Heights (1847)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Antonio Meo)
Non fraintendetemi: io amo il mondo della ristorazione. Diavolo, ne faccio ancora parte - sono chef da una vita, addestrato secondo i canoni della tradizione classica, e nel giro di un'ora starò probabilmente rosolando le ossa per la demi-glace e facendo a pezzi filetti di manzo in una scalcagnata cucina a sud di Park Avenue.
Non sto per vuotare il sacco su tutto quello che ho visto, imparato e fatto nella mia lunga e documentata carriera di lavapiatti, sguattero, addetto alla friggitrice e poi al grill, salsiere, sous-chef e chef solo perché sono furioso contro il sistema o perché voglio sconvolgere i clienti che stanno cenando. E vorrei continuare a fare lo chef anche dopo che questo libro sarà stato pubblicato, perché questa vita è l'unica che conosco davvero.
Titolo originale: Kitchen Confidential (2000)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Carla Lavelli, Fausto Vitaliano, Cecilia Veronese)
Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po' pesante e lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s'incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell'edificio si ripercuote, lontana e regolare. Di quello che succede dietro le pesanti porte degli appartarnenti, spesso se non sempre si avvertono solo quegli echi esplosi, quei brani, quei brandelli, quegli schizzi, quegli abbozzi, quegl'incidenti o accidenti che si svolgono in quelle che si chiamano le parti comuni, i piccoli rumori felpati che la passatoia di lana rossa attutisce, gli embrioni di vita comunitaria che sempre si fermano sul pianerottolo.
Titolo originale: La vie mode d'emploi (1978)
(Edizioni BUR - traduzione di Dianella Selvatico Estense)
Mia madre veniva da una cittadina polacca, mio padre da una cittadina del Maine. Mia madre era un'ebrea non credente, mio padre un cristiano non credente. Si incontrarono a New York al tempo in cui mio padre scriveva, per un giornale di sinistra, un articolo sulle condizioni di vita in schiera di misere case d'affitto in Suffolk Street nel Lower East Side di Manhattan, dove mia madre lavorava. Accadde alla fine degli anni Venti. Si innamorarono, ebbero una breve relazione e si sposarono.
Titolo originale: Davita's Harp (1985)
(Edizioni Garzanti - traduzione di Dario Villa)
Jimmy Rabbitte senior aveva la cucina tutta per sè. Sentì uno spiffero d'aria, alzò gli occhi e sulla porta c'era Darren, uno dei suoi figli, in cerca di un posto dove fare i compiti.
"Oh...", disse Darren, e si girò per tornare nell'ingresso.
"Ti serve il tavolo, Darren?" chiese Jimmy senior.
"Eh..."
"Dai, vieni. Via libera."
Jimmy senior si alzò. Gli si era addormentato il sedere.
Titolo originale: The Van (1991)
(Edizioni Guanda - traduzione di Giuliana Zeuli)
"Sei cosa?" disse Jimmy Rabbitte senior.
Lo disse a voce alta.
"Mi hai sentito", disse Sharon.
Jimmy junior era di sopra nella camera dei ragazzi a fare pratica come dee-jay. Darren era in soggiorno a guardare Scuola di polizia II in tivù. Les era fuori. Tracy e Linda, le gemelle, erano in soggiorno a dar fastidio a Darren. Veronica, la signora Rabbitte, era seduta davanti a Jimmy senior al tavolo di cucina.
Sharon era incinta e aveva appena detto al padre che pensava di esserlo. A sua madre l'aveva già detto, prima di pranzo.
Titolo originale: The Snapper (1990)
(Edizioni Guanda - traduzione di Laura Noulian)
"Chiediamolo a Jimmy", disse Outspan. "Jimmy lo sa di sicuro."
Jimmy Rabbitte se ne intendeva di musica. Se ne intendeva eccome. Quando andava in centro, mai che lo si vedesse tornare a casa senza un nuovo album o un LP o come minirno un singolo. Leggeva Melody Maker e New Musical Express tutte le settimane, se li divorava, e Hot Press ogni due settimane. Ascoltava Dave Fanning e John Peel. Leggeva perfino Jackie, la copia di sua sorella, se nessuno lo vedeva. E allora era chiaro che Jimmy se ne intendeva.
Titolo originale: The Commitments (1988)
(Edizioni Guanda - traduzione di Giuliana Zeuli)
Con la bassa marea tutta l'acqua è risucchiata nel porto, e la laguna non c'è. C'è solo una distesa di sabbia, grigia e sporca, ombreggiata di pozze scure d'acqua di mare, dove se sei fortunato puoi trovare un polipo neonato, la carcassa arancione screziata di un granchio, o il relitto sommerso di una barchetta giocattolo. C'è un ponte sulla laguna, e da lì, riflessa nelle pozze d'acqua, puoi vedere la tua immagine, intrappolata da piccole onde e stralci di nuvole. A volte la notte si vede anche una luna subacquea, velata e segreta.
Titolo originale: The Lagoon and Other Stories (1951)
(Edizioni Fazi - traduzione di Antonella Sarti)
Richard Mayhew non si stava divertendo molto quella notte, l'ultima prima di andare a Londra.
Aveva iniziato la serata in modo piacevole: si era divertito a leggere i messaggi di saluto e a ricevere l'abbraccio di numerose signorine di sua conoscenza non del tutto prive di attrattiva; si era divertito ad ascoltare gli avvertimenti relativi ai rischi e ai pericoli di Londra e per il dono dell'ombrello bianco con la piantina della metropolitana londinese che i ragazzi gli avevano acquistato tutti insieme; aveva apprezzato i primi boccali di birra; poi, però, a ogni ulteriore boccale si era reso conto di divertirsi sempre meno, e da quel momento se ne stava seduto a tremare sul marciapiedi davanti al pub, valutando gli opposti pro e contro del dare di stomaco o meno, senza divertirsi affatto.
Alli'interno del pub, gli amici continuavano a festeggiare la prossima partenza di Richard con un entusiasmo che, a suo modo di vedere, cominciava ad apparire quasi sinistro.
Titolo originale: Neverwhere (1996)
(Edizioni Fanucci - traduzione di Elisa Villa)
Il verbo leggere non sopporta l'imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare"... il verbo "sognare"...
Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: "Amami!" "Sogna!" "Leggi!" "Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!"
"Sali in camera tua e leggi!"
Risultato?
Niente.
Titolo originale: Comme un roman (1992)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)
Una sera d'estate, dice l'attore, sarebbe al centro della storia.
Non un soffio di vento. E già, spalancata davanti alla città, con vetrate e finestroni aperti, fra il cupo rosseggiare del tramonto e la penombra del parco, la hall dell'hotel de Roches."
All'interno, donne con bambini; parlano della sera d'estate, è così raro, tre o quattro volte in tutta la stagione, forse, e neanche ogni anno, bisogna approfittarne prima di morire, chissà se Dio ce ne regalerà ancora di così belle.
Fuori, sulla terrazza dell'hotel, gli uomini. Si colgono le parole altrettanto distintamente di quelle delle donne nella hall. Anche loro parlano di estati passate sulle spiagge del Nord. Ovunque, le voci che dicono l'eccezionale bellezza della sera d'estate sono ugualmente leggere e vuote.
Titolo originale: Les yeux blues cheveux noirs (1986)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Laura Guarino)
La prua di una galera fende la nebbia del Tamigi. L'imbarcazione accosta pesantemente alla riva. Sul ponte, lugubri monaci cappuccini salmodiano il Canto per l'anima dei defunti. Vicino a loro, fra le fiammelle morenti di centinaia di ceri, troneggia velao dalla foschia un gigantesco catafalco nero. Una folla minacciosa è assiepata contro il parapetto dell'imbarcadero e lungo il tappeto su cui passerà il corteo funebre diretto a Somerset Hall, la dimora degli Stuart. Sorretto da sei guardie, il feretro imbocca la passerella.
Ed ecco emergere dalla nebbia la figura solitaria ed eretta di una donna che avanza dietro la processione. L'ampio mantello la sottrae agli sguardi. Chi piange sotto i suoi veli? Il marito? L'amante? Questa donna piange la propria vita e l'uomo che ne è stato l'anima, suo padre.
Titolo originale: Artemisia (1998)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Doriana Comerlati)
Tutti nascono con qualche talento speciale ed Eliza Sommers scoprì presto di possederne due: un buon naso ed una buona memoria. Il primo le servì per guadagnarsi da vivere e il secondo per potersene ricordare, se non con precisione, almeno con la poetica vaghezza degli astrologi. Quel che si dimentica è come se non fosse mai successo, e i suoi ricordi reali o illusori erano talmente tanti che per lei fu come vivere due volte.
Titolo originale: Hija de la fortuna (1999)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Elena Liverani)
Quando fu di dominio pubblico che l'immane scrittore Prétextat Tach sarebbe morto due mesi dopo, i giornalisti di tutto il mondo sollecitarono interviste private con l'ottuagenario. Il vegliardo godeva, certo, di un prestigio considerevole; fu comunque grande lo stupore di veder accorrere al capezzale del romanziere francofono rappresentanti di quotidiani del calibro (ci siamo permessi di tradurre) della "Voce di Nanchino" e del "Bangladesh Observer". Così, due mesi prima della morte, il signor Tach poté farsi un'idea dell'ampiezza della propria fama.
Il suo segretario si incaricò di effettuare una selezione drastica delle proposte: eliminò tutti i giornali in lingue straniere perché il moribondo parlava solo francese e non si fidava di nessun interprete; scartò i reporter di colore perché con l'età lo scrittore si era messo a fare discorsi razzisti, che discordavano con le sue convinzioni profonde - gli specialisti tachiani, imbarazzati, vedevano in questo l'espressione di un desiderio senile di scandalizzare; infine il segretario scoraggiò garbatamente le richieste di reti televisive, di riviste femminili, di giornali giudicati troppo politici, e soprattutto delle riviste mediche che avrebbero voluto sapere in che modo il grand'uomo si fosse preso un cancro tanto raro.
Titolo originale: Hygiène de l'assassin (1992)
(Edizioni Guanda - traduzione di Biancamaria Brunno)
Da quasi quindici anni, la vecchia Berta si sedeva tutti i giorni davanti alla porta. Gli abitanti di Viscos sapevano che, generalmente, le persone anziane si comportano così: sognano il passato e la gioventù, contemplano un mondo di cui non fanno più parte, cercano ogni scusa per chiacchierare con i vicini.
Berta, però, aveva una ragione per stare lì. Ma quella mattina, quando vide lo straniero risalire la ripida stradina e dirigersi lentamente verso l'unico albergo del paese, seppe che la sua attesa era terminata. L'uomo non era come lo aveva immaginato tante volte: i suoi abiti erano consunti dall'uso, aveva i capelli più lunghi del normale e avrebbe dovuto farsi la barba.
Era arrivato con un compagno: il diavolo.
Titolo originale: O Demônio e a Srta. Prym (2000)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Rita Desti)
Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato "Storie vissute della natura", vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell'atto di inghiottire un animale.
Sei anni fa ammiravo le rovine dell'antico tempio di Poseidone, sul capo Sounion, con l'Egeo che si stendeva ai miei piedi. Un secolo e mezzo prima, Hans il Panettiere era approdato alla strana isola nell'azzurro dell'Atlantico. E sono trascorsi esattamente duecento anni da quando Frode, in rotta verso la Spagna, fece naufragio con il brigantino carico di argento.
Devo risalire così indietro nel tempo per capire cosa spinse la mamma a involarsi verso Atene...
Titolo originale: Kabalmysteriet (1990)
(Edizioni TEA - traduzione di Danielle Braun Savio)
La strada che ci avevano indicato, stretta e piuttosto ripida, saliva a zig-zag tra gli oliveti che, sostenuti da bassi muretti di pietra, si alzavano a terrazzi dal lago. Era una mattinata serena. Doveva essere l'ora della seconda siesta; nelle piantagioni non vedemmo infatti che pochi schiavi, e da qualche casolare saliva il fumo.
Presto apparve la villa; o almeno brillava in parte tra i ciuffi di olivo. Era posta sul colle, a mezza costa.
Mentre salivo, mi assalì nuovamente il dubbio se il vecchio ci avrebbe realmente consentito di esaminare gli scritti inestimabili.
Le lettere di raccomandazione, che il mio Sempronio aveva con sé, non erano davvero di gran peso. Avrei preferito che, sotto il loro peso, egli avesse sudato.
Titolo originale: Die Geschäfte des Herrn Julius Cäsar (1957)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Lorenzo Bassi)
Mezzanotte e 7 minuti. Il cane era disteso sull'erba in mezzo al prato di fronte alla casa della signora Shears. Gli occhi erano chiusi. Sembrava stesse correndo su un fianco, come fanno i cani quando sognano di dare la caccia a un gatto. Il cane però non stava correndo, e non dormiva. Il cane era morto. Era stato trafitto con un forcone. Le punte del forcone dovevano averlo passato da parte a parte ed essersi conficcate nel terreno, perché l'attrezzo era ancora in piedi. Decisi che con ogni probabilità il cane era stato ucciso proprio con quello perché non riuscivo a scorgere nessun'altra ferita, e non credo che a qualcuno verrebbe mai in mente di infilzare un cane con un forcone nel caso in cui fosse già morto per qualche altra ragione, di cancro per esempio, o per un incidente stradale. Ma non potevo esserne certo.
Aprii il cancelletto di casa della signora Shears, richiudendolo dietro di me. Attraversai il prato e mi inginocchiai vicino al cane. Gli appoggiai la mano sul muso. Era ancora caldo.
Il cane si chiamava Wellington. Apparteneva alla signora Shears, che era nostra amica. Abitava dall'altro lato della strada, due case più in là, sulla sinistra.
Wellington era un cane barbone. Non uno di quei barboncini tutti bei pettinati, no, uno di quelli grossi. Aveva il pelo riccio e nero, ma quando lo si guardava da vicino ci si rendeva conto che sotto quella cosa arruffata la pelle era di un colore giallo pallido, come quella di un pollo.
Accarezzai Wellington e mi domandai chi l'avesse ucciso, e perché.
Titolo originale: The Curious Incident of the Dog in the Night-time (2003)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Paola Novarese)
Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.
Al mattino mi svegliai, decisi che avevo bisogno di un po' di esercizio fisico e cominciai subito. Feci parecchie flessioni, poi mi lavai i denti. Sentii in bocca il sapore del sangue, vidi che lo spazzolino era colorato di rosa, mi ricordai cosa diceva la pubblicità, e decisi di uscire a prendermi un caffè.
Titolo originale: Ask the Dust (1939)
(Edizioni Marcos Y Marcos - traduzione di Maria Giulia Castagnone)
Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente , la seconda, nell'agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan. Non è impossibile che un lettore specializzato abbia letto notizie sul mio conto nello studio del dottor Peter Luce, Gender Identity in 5-Alpha-Reductase Pseudohermaphrodites pubblicato nel 1975 dal "Journal of Pe diatric Endocrinology". Oppure potreste aver visto la mia fotografia pubblicata nel capitolo sedici di Genetics and Heredity, un testo ormai tristemente obsoleto. Sono io la ragazza nuda in piedi accanto a un'asta graduata per misurare l'altezza a pagina 578, gli occhi nascosti da una striscia nera.
Titolo originale: Middlesex (2002)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Katia Bagnoli)
Lidea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito! Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri vi abbiano trovato la morte fra torture indicibili.
E anche in questa guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo, cambierà qualcosa se si ripeterà innumerevoli volte nell'eterno ritorno?
Sì, qualcosa cambierà: essa diventerà un blocco che svetta e perdura, e la sua stupidità non avrà rimedio.
Titolo originale: Nesnesitelná lehkost bytí (1984)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Giuseppe Dierna > Antonio Barbato)
"Vagina." Ecco, l'ho detto. "Vagina." L'ho ripetuto. Sono tre anni che pronuncio questa parola. L'ho detta in teatri, università, salotti, caffè, cene mondane, programmi radiofonici in tutto il paese. La direi in televisione se qualcuno me lo permettesse. La pronuncio centoventotto volte ogni sera quando rappresento il mio spettacolo, I monologhi della vagina, che s basa su interviste a un gruppo eterogeneo di più di duecento donne. L'argomento è la vagina. La pronuncio nel sonno. La dico perché non è previsto che la dica. La dico perché è una parola invisibile - una parola che suscita ansia, imbarazzo, disprezzo e disgusto.
La dico perché credo che ciò che non si dice non venga visto, riconosciuto e ricordato. Ciò che non diciamo diventa un segreto, e i segreti spesso creano vergogna, paura e miti. La dico perché un giorno o l'altro vorrei sentirmi a mio agio pronunciandola, e non vergognarmi o sentirmi in colpa.
Titolo originale: The Vagina Monologues
(Marco Tropea Editore - traduzione di Margherita Bignardi)
L'Alchimista prese un libro, portato da qualcuno della carovana. Il volume era privo di copertina, ma lui riuscì a identificare l'autore: oscar Wilde. Mentre sfogliava le pagine, trovò una storia su Narciso.
L'Alchimista conosceva la leggenda di Narciso, un bel giovane che tutti i giorni andava a contemplare la propria bellezza in un lago. Era talmente affascinato da se stesso che un giorno scivolò e morì annegato. Nel punto in cui cadde nacque un fiore, che fu chiamato narciso.
Ma non era così che Oscar Wilde concludeva la storia.
Egli narrava invece che, quando Narciso morì, accorsero le Oreadi - le ninfe del bosco - e videro il lago trasformato da una pozza di acqua dolce in una brocca di lacrime salate.
"Perché piangi?" domandarono le Oreadi.
"Piango per Narciso," disse il lago.
"Non ci stupisce che tu pianga per Narciso," soggiunsero. "Infatti, mentre noi tutte lo abbiamo sempre rincorso per il bosco, tu eri l'unico ad avere la possibilità di contemplare da vicino la sua bellezza."
"Ma Narciso era bello?" domandò il lago.
"Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?" risposero, sorprese, le Oreadi. "In fin dei conti, era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni."
Il lago rimase per un po' in silenzio. Infine disse:
"Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza."
"Che bella storia," disse l'Alchimista.
Titolo originale: Alquimista (1988)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Rita Desti)
Patapumfete!
Cado all'indietro. I miei occhi fanno tilt. Un pezz di azzurro mi passa tra le gambe. Che ci fa lì, il cielo? Non è quello il suo posto. E i miei piedi nudi tra i rami del fico. È normale? Mi fioriranno gli alluci. Petali caffellatte. Non molto serio, come mazzo... Attento figliolo! Qui tutto cresce da sé. Non sei in un posto qualsiasi. Sei a Fort de l'Eau. Il giardino del paradiso! Bell'accoglienza. Capisco che Adamo ed Eva se ne siano andati. Il giardino del paradiso. Di solito è così. Ma oggi l'aria è pesante. Eppure non c'è scirocco... La prova, figliolo: pianti qui una scarpa di corda e ti spunta un paio di stivali da cavallerizzo... Figuriamoci! Ho provato sulla spiaggia con le mie infradito. Non ho trovato niente, né gli stivali né il cavallo. In questo paese tutti esagerano. È uno sport, è mi sa che il tizio in maglietta a righe che mi chiama "figliolo" gioca in serie A... Non ci sai fare. Oppure non hai la mano con le piante, la mano delle sabbie, la mano dell'oasi: la mano del mahonese!... Se ci vogliono quattro mani per piantare una scarpa, tanto vale mettersi al piano con Maryse e Martine, le mie sorelline... Hai poco da ridere. Parola mia, sotterri un nocciolo di pesca e il giorno dopo hai una coppa Melba al Milk Bar! È questa la mano del mahonese... Balle! Al Milk Bar di Algeri l'unica cosa che cresce da sola è il conto... Così dice la mamma.
Titolo originale: Fort de l'Eau (1997)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)
Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Non avrei mai dovuto invitare quel tizio a cena. Una resa affrettata, dalle conseguenze disastrose. È vero che la pressione era fortissima. Tutta la tribù si era accanita a convincermi, ognuno nel proprio registro, una potenza di fuoco spaventosa:
"Come sarebbe?" sbraitava Jérémy, "Thérèse è innamorata e tu non vuoi vedere il suo tipo?".
"Non ho mai detto questo."
Subentrava Louna:
"Thérèse trova un signore che si interessa a lei, fenomeno altrettanto improbabile di un tulipano su Marte, e a te non frega niente?".
"Non ho detto che non me ne fregava niente."
"Nemmeno un briciolo di curiosità, Benjamin?"
Questa era Clara, la sua voce di velluto...
"Ma lo sai almeno, cosa fa nella vita, l'amico di Thérèse?" ha chiesto il Piccolo dietro i suoi occhiali rosa.
No, non sapevo, almeno, cosa faceva.
"Racconti!"
"Racconti?"
"Così ha detto Thérèse; racconti!"
Vietare l'accesso alla nostra ferramenta a un narratore voleva dire distruggere il sistema di valori del Piccolo.
Titolo originale: LA PASSION SELON THÉRÈSE (1999)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)
In occasione di una delle nostre ultime gite in macchina - mio padre era alla fine della sua vita terrena - ci fermammo nelle vicinanze di un fiume, raggiungemmo a piedi la riva e ci sedemmo all'ombra di una vecchia quercia. Dopo un paio di minuti mio padre si tolse scarpe e calzini, immerse i piedi nell'acqua che scorreva limpida e restò lì a fissarli. Poi chiuse gli occhi e sorrise. Non lo vedevo sorridere così da molto tempo. All'improvviso fece un profondo respiro e disse: "Mi viene in mente..."
Titolo originale: Big Fish. A Novel of Mythic Proportions. (1998)
(Marco Tropea Editore - traduzione di Silvia Lalia)
Sofia Amundsen stava tornando da scuola. Aveva percorso il primo tratto di strada insieme con Jorunn e avevano parlato di robot. Secondo Jorunn, il cervello degli esseri umani era paragonabile a un computer assai sofisticato: Sofia però non era molto d'accordo. Un uomo deve essere qualcosa di più di una semplice macchina.
Si erano separate davanti al grande centro commerciale. Sofia abitava ai margini di un'ampia zona residenziale formata da villette e la strada che doveva fare per andare a scuola era due volte quella di Jorunn. La sua casa pareva trovarsi ai confini del mondo perché dietro il giardino non ce n'erano altre. In quel punto cominciava un fitto bosco.
Titolo originale: Sofiest verden (1991)
(Edizioni Longanesi - traduzione di Margherita Podestà Heir)
Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo e donna. Pictor salutò l'albero con riverenza e chiese: "Sei tu l'albero della vita?". Ma quando, invece dell'albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita.
E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna.
Pictor chiese: "Sei tu l'albero della vita?".
Il sole annuì e rise, la luna annuì e sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda ninna nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell'infanzia, il suo dolce profumo risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come di resina e di miele, ma anche come di un bacio di donna.
Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva verso l'ignoto, verso il magicamente prefigurato.
Titolo originale:
(Edizioni Stampa Alternativa - traduzione di Katja Tenenbaum)
Josef K. doveva essere stato oggetto di una calunnia, perché una mattina, senza aver fatto nulla di male, fu arrestato. La cuoca della signora Grunbach, l'affittacamere, che tutti i giorni verso le otto gli portava la colazione, quella mattina non si era fatta viva. Non era mai successo prima d'allora. K. aspettò ancora un momento; senza alzarsi dal letto poté vedere l'anziana signora che abitava di fronte che lo osservava con una curiosità in lei insolita; poi però, stupito e insieme affamato, suonò il campanello. Subito qualcuno bussò alla porta e un uomo, che egli non aveva mai visto prima in quella casa, entrò nella stanza.
Titolo originale: Der Prozess (1925)
(Edizioni Acquarelli - traduzione di Danila Moro)
1 scatola di sardine
1/2 salsiccia
1 cipolla
origano
1 scatola di peperoncini "serranos"
10 focaccine
PREPARAZIONE
La cipolla deve essere tritata fine fine. Suggerisco di mettersene un pezzetto in testa per evitare la fastidiosa lacrimazione che si produce quando la si taglia. Il brutto di piangere tritando la cipolla non è il semplice fatto di piangere, ma è che, quando cominci, poi ti bruciano gli occhi e non smetti più. Non so se è già capitato anche a voi, ma a me certamente sì. Una infinità di volte. La mamma diceva che era perché sono sensibile alla cipolla proprio come Tita, la mia prozia.
Raccontano che Tita era così sensibile che, già quando stava nella pancia della mia bisnonna, quando lei tritava cipolle non smetteva più di piangere; il suo pianto era così forte che Nacha, la cuoca di casa, che era mezza sorda, lo udiva senza sforzo. Un giorno i singhiozzi furono talmente forti da anticipare il parto. E senza che la mia bisnonna potesse dire bah, Tita venne al mondo prematuramente, sul tavolo della cucina, fra gli odori del minestrone che stava cuocendo, del timo, del lauro, del coriandolo, del latte bollito, dell'aglio e, naturalmente, della cipolla.
Titolo originale: Como agua para chocolate (1989)
(Edizioni SuperPoket - traduzione di Silvia Benso)
Il primo giorno di sole fece evaporare l'umidità accumulata sulla terra dai mesi invernali e riscaldò le fragili ossa degli anziani, cui fu possibile passeggiare lungo i sentieri ortopedici del giardino. Solo il melanconico se ne rimase a letto, perché era inutile portarlo all'aria aperta se i suoi occhi vedevano solo i propri incubi e le sue orecchie erano sorde allo schiamazzo degli uccelli. Josefina Bianchi, l'attrice, vestita col lungo abito di seta che mezzo secolo prima aveva indossato per declamare Checov, reggendo un parasole per proteggersi l'epidermide di porcellana screpolata, avanzava lentamente fra i cespugli che ben presto si sarebbero ricoperti di fiori e di api.
Titolo originale: DE AMOR Y DE SOMBRA (1984)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Angelo Morino)
Salomon saith: There is no new thing
upon the carth. So that as Plato had an
imagination, that all knowledge was but
remembrance; so Salomon giveth his
sentence, that all novelty is but oblivion.
Francis Bacon, Essays, LVIII
A Londra, all'inizio del mese di giugno del 1929, l'antiquario Joseph Cartaphilus, di Smirne, offrì alla principessa di Lucinge i sei volumi in quarto minore (1715-1720) dell'Iliade di Pope. La principessa li acquistò; e in quell'occasione scambiò qualche parola con lui. Era, ci dice, un uomo consunto e terroso, grigio d'occhi e di barba, dai tratti singolarmente vaghi. Si destreggiava con scioltezza e ignoranza in diverse lingue; in pochi minuti passò dal francese all'inglese e dall'inglese a una misteriosa mescolanza di spagnolo di Salonicco e portoghese di Macao. Nell'ottobre, la principessa seppe da un passeggero dello Zeus che Cartaphilus era morto in mare, nel tornare a Smime, e che l'avevano seppellito nell'isola di Ios. Nell'ultimo tomo dell'Iliade trovò questo manoscritto.
L'originale è redatto in inglese e abbonda di latinismi. La versione che offriamo è letterale.
Titolo originale: EL ALEPH (1949)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Francesco Tentori Montalto)
Per più di quindici anni ho ingannato me stesso. Ebbro di fedeltà e propenso a dare lezioni di vita, talvolta sbagliavo. Patito d'iniziative romantiche, ero un pantofolaio borghese. Come ho potuto barare tanto? I protagonisti dei miei romanzi realizzavano le mie chimere, mentre io capitolavo di fronte al quotidiano. Costernato per il mio essere soltanto un modesto pedone, sognavo di venire spinto dalla loro fede monogamica. Impostore fino in fondo, arrivai persino a fare dell'amore una sorta di religione frenetica, un integralismo coniugale di cui i miei libri sarebbero stati i messali. Quanti volumi per nascondere pubblicamente la mia condizione di fallito dell'assoluto...
Titolo originale: Le Roman des Jardin (2005)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Fabrizio Ascari)
C'era un uomo che aveva avuto otto figli. A parte questo, non rappresentava nulla di più di una virgola su una pagina della Storia. È triste, ma a volte è tutto quello che si può dire di determinate persone.
Tuttavia il suo ottavo figlio crebbe, si sposò ed ebbe otto figli e, visto che esiste un'unica professione adeguata per l'ottavo figlio di un ottavo figlio, divenne mago. Si fece anche saggio e potente, o almeno decisamente potente, indossava un cappello a punta e tutto sarebbe finito lì...
Sarebbe dovuto finire lì...
Titolo originale: Sourcery (1988)
(Edizioni TEA - traduzione di Antonella Pieretti)
"Non dire sciocchezze, cara, no che non ci sarà una guerra atomica."
...
"Sono quasi all'uscita 21. Dovrei essere a Coventry tra una ventina di minuti. Devo fare un salto all'università."
...
"Quello che dice lui, scòrdatelo. Parla a vanvera. Il mondo è governato da persone equilibrate e ragionevoli, proprio come me e te."
...
"Anche tu mi manchi. Baciami Peter. Digli che..."
...
"Cosa? No, un pazzo m'ha tagliato la strada. E 'sti altri che vanno minimo a 160. Fatemi capire perché la polizia non li ferma."
...
"Non so se ho tempo di andarlo a trovare. Non se voglio tornare a casa stasera."
...
"E poi, cosa ho da dirgli? Sono anni che non ci vediamo. Sì e no mi ricordo com'è fatto."
...
"No. Non capisco perché dovremmo lasciargli usare il nostro cottage. Ce lo siamo comprato per noi, non per darlo in mano a estranei."
...
"In che senso, t'è sembrato strano?"
...
Titolo originale: A Touch of Love (1989)
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Domenico Scarpa)
"Innanzitutto, quando si è un randagio, non si fanno tante storie!"
È la Spepa che squittisce. Ha una voce terribilmente acuta. Le parole rimbalzano contro i muri, il soffitto e il pavimento della cucina. Si mescolano al tintinnio delle stoviglie. Troppo rumore. Il Cane non ci capisce un'acca. Si limita ad appiattire le orecchie aspettando che passi. E poi ne ha sentite di peggiori. Che gli si dia del randagio non lo tocca poi tanto. Sì, è stato un randagio, e allora? Non se n'è mai vergognato. Le cose stanno così. Ma santo cielo, com'è acuta la voce della Spepa. E quanto parla! Se non avesse bisogno delle quattro zampe per reggersi dignitosamente in piedi, Il Cane si tapperebbe le orecchie con le zampe davanti. Ma si è sempre rifiutato di scimmiottare gli uomini.
Titolo originale: CABOT-CABOCHE (1982)
(Edizioni Salani - traduzione di Cristina Palomba)
Per quarantadue anni Lewis e Benjamin Jones dormirono l'uno accanto all'altro nel letto dei genitori, nella loro fattoria chiamata «La Visione».
Il letto, a colonne di quercia, era venuto dalla casa della madre a Bryn-Draenog, quando si era sposata nel 1899. Le tende di cretonne sbiadito, con un motivo di rose e speronelle, non lasciava passare le zanzare d'estate e gli spifferi d'inverno. Ruvidi calcagni avevano bucato le lenzuola di lino, e la trapunta a pezze multicolori era lisa in più parti. Sotto il materasso di piume d'oca ce n'era un secondo, di crine, e questo di era infossato in due conche lasciando una gobba fra i dormienti.
La stanza era sempre buia e odorava di lavanda e naftalina.
L'odore di naftalina veniva da una piramide di cappelliere accatastate vicino al portacatino. Sul comodino c'era un cuscinetto in cui erano ancora appuntati gli spilloni da cappello di Mrs Jones; e alla parete di fronte era appesa un'incisione della Luce del mondo di Holman Hunt, montata in una cornice di legno ebanizzato.
Titolo originale: On the Black Hill (1982)
(Edizioni Adelphi - traduzione di Clara Morena)
M? M ERA UN PITTORE. Di lui parla questo libro. Il suo nome era Michelangelo Merisi. Nella sua prima biografia edita, opera di un contemporaneo che l'aveva conosciuto, però è chiamato Amerigi. Quando aveva un anno, inoltre, suo padre fu registrato come Merici, e poi, quando aveva cinque anni, come Morisi. In documenti della corte romana il pittore è chiamato Merisio, e in un altro documento, risalente a un anno prima della sua morte, Morigi. Ulteriori capricci della lingua scritta mutarono il suo nome in Morisius, Amarigi, Marigi, Marisi, Nagiri, Moriggia, Marresi e Amerighi. Quanto a lui, si firmava Marisi.
Titolo originale: M (1998)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Doriana Comerlati e Massimo Parizzi)
Galileo Galilei, docente di matematiche a Padova, cerca le prove del nuovo sistema cosmico di Copernico.
Nell'anno milleseicentonove
splendé chiara la luce della scienza
da una piccola casa di Padova.
Galileo Galilei accertò coi suoi calcoli
che il sole sta fermo e la terra si muove.
Stanza di lavoro, miseramente arredata, di Galileo a Padova.
È il mattino. Un ragazzetto, Andrea, figlio della governante, entra recando un bicchiere di latte e un panino.
GALILEO (si lava a torso nudo, sbuffando allegramente)
Posa il latte sul tavolo, ma non chiudermi i libri.
ANDREA La mamma ha detto che c'è da pagare il lattaio.
Sennò quello, tra poco, girerà al largo della nostra casa, signor Galileo.
GALILEO Di' meglio: descriverà un cerchio intorno a noi.
ANDREA Come volete. Se non paghiamo, descriverà un cerchio intorno a noi, signor Galileo.
GALILEO E invece il signor Cambione, l'usciere giudiziario, viene qui dritto: dunque, che linea sceglie fra due punti?
ANDREA (Con un ghignetto) La più corta.
Titolo originale: Leben des Galilei (1938/39)
(Edizioni Einaudi - traduzione di Emilio Castellani)
Ti consideri stressata? No. Non sono stressata.
Sono... molto impegnata. Ma il mondo è pieno di gente impegnata. È la vita. Ho un lavoro di grande responsabilità, e per me la carriera è importante.
E va bene. A volte mi sento un po' tesa. Sotto pressione. Ma... cavolo, faccio l'avvocato nella City. Cosa vi aspettate?
Mentre scrivo, premo così forte sulla pagina da bucare il foglio. Accidenti. Non importa. Passiamo alla prossima domanda.
Mediamente quante ore al giorno passi in ufficio? 14 12 8
Dipende.
Fai attività fisica regolare? Nuoto abitualmente Nuoto di tanto in tanto
Ho intenzione di iniziare un programma regolare di nuoto. Quando avrò tempo. Ultimamente ho avuto parecchio da fare in ufficio, è un momentaccio.
Titolo originale: The Undomestic Goddess (2005)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Annamaria Raffo)
Il treno fischiò, lasciando la stazione. Dal finestrino di una carrozza un bambino guardava l'uomo e la donna che lo stavano salutando dalla banchina. L'uomo agitava timidamente una mano, imprimendole movimenti minimi. La donna sventolava entrambe le mani, oltre a un enorme fazzoletto rosso. L'uomo era suo padre, la donna era Gabriela, cioè Gabi. L'uomo indossava l'uniforme della polizia, perché era un poliziotto. La donna aveva un abito nero, perché il nero snellisce. Anche le righe verticali snelliscono. Ma niente snellisce, diceva Gabi ridendo, come mettersi vicino a qualcuno più grasso di te; solo che io non l'ho ancora trovato.
Il bambino sul treno, che li stava lasciando e li guardava come in una fotografia che non avrebbe mai più rivisto... be', quel bambino ero io. Staranno da soli per due giorni, pensai. È finita.
Titolo originale: The Zig-zag Kid, (1994) יש ילדים זיג זג
(Edizioni Mondadori - traduzione di Sarah Kaminski ed Elena Loewenthal)
Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai uscito di mente.
"Quando ti vien voglia di criticare qualcuno" mi disse "ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu."
Non disse altro, ma eravamo sempre stati insolitamente comunicativi nonostante il nostro riserbo, e capii che voleva dire molto più di questo. Perciò ho la tendenza a evitare ogni giudizio, una abitudine che oltre a rivelarmi molti caratteri strani mi ha anche reso vittima di non pochi scocciatori inveterati.
Titolo originale: The Great Gatsby (1925)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Fernanda Pivano)
L'AFRICA stava accucciata sull'orizzonte, quasi un leone pronto all'agguato, color fulvo e oro nel primo sole, gelata dal freddo della Corrente del Benguela.
Robyn Ballantyne stava in piedi accanto al parapetto della nave e la guardava. Era lì da un'ora prima dell'alba, molto prima che si cominciasse a vedere la terra. Sapeva che era là, ne sentiva nel buio la vasta presenza enigmatica, ne avvertiva il respiro, caldo e secco di aromi, sopra le fredde esalazioni vischiose della corrente su cui correva la grande nave.
Titolo originale: A Falcon Flies (1980)
(Edizioni TEA - traduzione di Mario Biondi)
Il vento ululava. I lampi pugnalavano la terra a casaccio come inefficienti assassini. Il tuono rombava e rimbombava attraverso le oscure colline sferzate dalla pioggia.
La notte era nera quanto le viscere di un gatto. Era il genere di notte, potete crederci, in cui gli dei spostavano gli uomini come fossero pedine sulla scacchiera del fato. Al centro di questa tempesta di elementi c'era un fuoco che ardeva, tra i cespugli di ginestra gocciolanti, come la follia nell'occhio di una donnola. Esso illuminava tre figure accovacciate.
Titolo originale: Wyrd Sisters (1988)
(Edizioni TEA - traduzione di Antonella Pieretti)
Un giorno - era di primavera - Gesù si trovava nella piazza del mercato di Gerusalemme e parlava del regno dei cieli alla folla.
Ed Egli accusava gli scribi e i Farisei di disseminare di insidie e di occulte trappole il cammino di quanti anelano al regno, e pubblicamente gridava la sua denuncia.
Tra la folla c'era un gruppo di uomini che difendeva i Farisei e gli scribi; e quegli uomini cercarono di assalire Gesù, e noi con Lui.
Ma Egli li scansò e volse altrove, e cominciò a camminare verso la porta di settentrione della città.
Ci disse: "La mia ora non è ancora giunta. Molte sono le cose che ancora ho da dirvi e molte le opere che ancora devo compiere prima di consegnarmi al mondo."
E c'era gioia nella Sua voce quando aggiunse: "Andiamo verso la terra di settentrione, incontro alla primavera. Venite con me sulle colline, perché l'inverno è passato, e le nevi del Libano stanno scendendo a valle per intrecciare il loro canto a quello dei ruscelli.
I campi e le vigne hanno scacciato il sonno, e sono desti, per dare al sole il loro benvenuto di fichi verdi e giovani grappoli."
Ed Egli si incamminò avanti a noi e noi lo seguimmo, quel giorno e il giorno dopo ancora.
Titolo originale: Jesus, The Son of Man (1928)
(Edizioni Newton - traduzione di Simonetta Traversetti)
In fondo alla stanza, un'immensa libreria piena zeppa di libri compre tutta la parete. Il resto dell'ambiente colpisce per la sua nudità: niente tavoli, né scrivani, né poltrone, solo qualche sedia di legno e, sulla destra, un'enorme stufa di ghisa.
Un uomo sulla cinquantina d'anni sta seduto su una sedia e scrive appoggiandosi a un fascio di fogli che tiene sulle ginocchia. Indossa un maglione a collo altro. Entra un uomo di una trentina d'anni con indosso un cappotto pesante, che non si toglie.
DANIEL. Già al lavoro?
IL PROFESSORE (senza neanche guardarlo). Da un'ora. Daniel prende una sedia e la porta vicino alla stufa. Ci si siede.
DANIEL. Non era mica così mattiniero, prima della guerra.
IL PROFESSORE. Il freddo mi impediva di dormire. A letto stavo diventando pazzo; alla fine mi sono alzato. È strano, ma seduti si congela molto meno.
Titolo originale: Les Combustibles (1994)
(Edizioni Robin - traduzione di Alessandro Grilli)
Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l'ho.
Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. È lì che per la prima volta ho visto un essere umano. Si trattava di uno di quegli studenti che vivono a pensione presso un professore - mi hanno poi detto - e che fra tutti gli uomini sono la specie più perversa. Si racconta che costoro ogni tanto acchiappino uno di noi, lo mettano in pentola e se lo mangino. Però in quel momento, non sapendolo, non ne ebbi paura. Provai soltanto un senso di vertigine quando lo studente mi mise sul palmo della mano e di colpo mi sollevò per aria. Appena ritrovai una certa stabilità lo guardai in faccia, era il primo individuo appartenente alla specie umana che vedevo in vita mia. Che creatura curiosa, pensai, e quest'impressione di stranezza la conservo tuttora.
Titolo originale: Wagahai wa Neko de Aru (1905)
(Edizioni Neri Pozza - traduzione di Antonietta Pastore)
Constantine, otto anni, stava lavorando nell'orto di suo padre e pensava al proprio, un quadrato di granito polverizzato che aveva recintato e rastrellato nella parte più alta della proprietà di famiglia. Per prima cosa sarchiò i filari di fagioli del padre, poi strisciò fra i nodi e i ceppi del vigneto, legando di nuovo ai paletti i viticci ribelli con della ruvida corda marrone che secondo lui aveva esattamente il colore e la consistenza di un nobile sforzo destinato a fallire. Quando suo padre parlava di "ammazzarsi di lavoro per mantenersi vivi", Constantine immaginava questa corda, ruvida e forte e grigiastra, elettrizzata dai suoi stessi fili vaganti, che avvolgeva il mondo in un goffo pacchetto riluttante a restare legato, proprio come i viticci che continuavano a liberarsi e guizzar fuori in estatiche inclinazioni verso il cielo. Occuparsi dei viticci era uno dei suoi compiti, ed era arrivato a disprezzarli e a rispettarli per la loro indomabile insistenza. Avevano una loro aggrovigliata vita segreta, una torpida volontà, ma sarebbe stato lui, Constantine, a pagarla se non fosse riuscito a tenerli ordinati e palettati. Suo padre aveva un occhio spietato, capace di scoprire un'unica pagliuzza cattiva in dieci balle di buone intenzioni.
Titolo originale: Flesh and Blood (1995)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Ettore Capriolo)
La storia della Galassia si è un po' ingarbugliata per diverse ragioni: in parte perché chi cerca di tenersene al corrente si è un po' ingarbugliato, e in parte perché, obiettivamente, sono successe cose che rendono tutto molto ingarbugliato.
Uno dei problemi riguarda la velocità della luce e le difficoltà che comporta il tentare di superarla. Non la si può superare. Niente viaggia più in fretta della velocità della luce, con la possibile eccezione delle cattive notizie, che seguono proprie leggi specifiche. Di fatto, gli Hingefreel di Arkintoofle Minor cercarono di costruire astronavi propulse da cattive notizie, ma non funzionavano molto bene ed erano accolte così male quando arrivavano da qualche parte, che arrivare da qualche parte finiva per non avere alcun senso.
Titolo originale: Mostly Harmless (1992)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Laura Serra)
Potevo trovarlo ogni giorno, a mezzogiorno, seduto su una panchina al parco Rathaus con un cartoccio di ravanelli di serra in grembo e una bottiglia di birra in mano. Portava sempre con sé una saliera; e doveva averne in gran numero, poiché non ne ricordo alcuna in particolare. Non erano mai saliere pregiate, però; anzi, una volta ne gettò via una. La mise nel cartoccio con gli avanzi, che finirono in uno dei cestini del parco.
Ogni giorno, alla stessa ora, e sempre sulla stessa panchina - quella meno scheggiata - dalla parte del parco più vicina all'Università. Talvolta aveva con sé un taccuino. Addosso, sempre una giubba da cacciatore con tasche laterali e un tascapane sulla schiena. I ravanelli, la bottiglia di birra, la saliera e il taccuino, tutto quanto scaturiva da quel tascone posteriore. Niente portava in mano, camminando. Aveva con sé almeno tre diverse pipe.
Titolo originale: Setting Free the Bears (1968)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Pier Francesco Paolini)
Lontano, nei dimenticati spazi non segnati sulle carte del limite estremo e poco à la page della Spirale Ovest della Galassia, c'è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso alla distanza di circa centoquarantanove milioni di chilometri c'è un piccolo, trascurabilissimo pianeta verdazzurro le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive da credere ancora che che gli orologi digitali siano una brillante invenzione.
Titolo originale: So Long, and Thanks For All the Fish (1984)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Laura Serra)
C'era una volta, non tanto tempo fa (anzi pochissimo), una giovane Formica di Casa chiamata Mina Minim, che si stava preparando per il suo primo viaggio fuori dal nido.
"Mina Minim!"
Zia Teodora, la vecchia bambinaia cieca, la stava aspettando. Le uova erano già state scelte e ogni formica sapeva di quale uovo si sarebbe dovuta prendere cura e come lo avrebbe girato sotto il sole quando sarebbero venuti il momento del gioco e quello del riposo. Il gruppetto delle formiche più giovani era riunito in perfetto ordine sulla pista che conduceva dal soffitto del garage al pavimento della cucina, dentro la credenza e sotto la porta, fino alle Scale.
Titolo originale: Mona Minim and the Smell of the Sun (1969)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Marina Baruffaldi)
Sylvia Beach passeggiava lungo il binario della Gare de Lyon, sola nella fredda aria del mattino, in attesa del treno proveniente da Digione. Era il 2 febbraio 1922. Dal giorno in cui, undici mesi prima, aveva ingenuamente suggerito a James Joyce che avrebbe potuto pubblicare l'Ulisse, non aveva più avuto un attimo di pace. Aveva sollecitato sottoscrizioni, scritto centinaia di lettere, ingaggiato dattilografe, corretto bozze e, infine, si era anche occupata delle esigenze della famiglia Joyce. Ma aveva dato la miglior prova delle sue capacità con il tipografo, Maurice Darantière, di Digione. Era riuscita quasi sempre a convincerlo a lasciare che Joyce modificasse il manoscritto, e Joyce aveva aggiunto quasi un terzo del testo sulle bozze, che erano state più volte rimaneggiate per accogliere duecentocinquantamila parole in più. Ora stava chiedendo l'impossibile. Nonostante gli avesse rimandato le ultime bozze solo due giorni prima, voleva due copie del libro per il quarantesimo compleanni di Joyce, il quale, essendo superstizioso come molti irlandesi, attribuiva un grande significato agli anniversari, alle date e ai numeri. Sapeva che Joyce avrebbe gradito il regalo. E conosceva Darantière.
Titolo originale: Sylvia Beach and the Lost Generation (1983)
(Edizioni il Saggiatore - traduzione di Tina d'Agostini e Monica Fiorini)
Mio padre, il reverendo Sylvester Woodbridge Beach, dottore in teologia, era un ministro del culto presbiteriano che per diciassette anni fu pastore della prima chiesa presbiteriana di Princeton, nel New Jersey.
A prestar fede a un articolo apparso nel "Munsey's" Magazine sui più curiosi alberi genealogici d'America, i Woodbridge, antenati di papà dal lato materno, si sarebbero tramandati di padre in figlio il ministero sacerdotale per dodici o tredici generazioni. Ma mia sorella Holly, che vuole la verità a qualsiasi costo, ha preteso di vederci chiaro e, ahimè, ha sfatato la leggenda riconducendo il numero a nove; e di tanto dobbiamo accontentarci.
Titolo originale: Shakespeare and Company (1956)
(Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 2004 - traduzione di Elena Spagnol Vaccari)
Avevo quindici anni quando fui nominata lettrice delle figlie di Luigi XV. Dirò subito che cos'era la Corte a quell'epoca.
Maria Leezinska era appena morta, preceduta di tre anni dalla morte del delfino; i gesuiti erano stati estromessi e la fede ormai si trovava a Corte solo nelle anime delle figlie del re; il duca di Choiseul regnava.
Il re non aveva pensieri che per la caccia; si sarebbe potuto credere che i cortigiani facessero un epigramma, quando dicevano seriamente, nei giorni in cui Luigi XV non andava a caccia: "Il re, oggi non ha fatto niente".
Titolo originale: Mémoires de Madame Campan
(Edizioni Newton - traduzione di Ada Vittorini)
Comincia, come quasi tutto, con una canzone.
Al principio era il verbo, erano parole accompagnate da una melodia. È così che venne fatto il mondo, che il vuoto fu diviso, che le terre e le stelle e i sogni e gli dèi minori e gli animali... che ogni cosa venne al mondo.
Con il canto.
I grandi rettili furono cantati dopo che il cantore aveva finito con i pianeti, le colline, gli alberi, gli oceani e gli animali più piccoli. Furono cantate le scogliere che legano l'esistenza, i terreni di caccia, e l'oscurità.
Le canzoni rimangono. Durano. La canzone giusta può trasformare un imperatore nello zimbello del paese, può far cadere dinastie. Una canzone dure ben oltre il momento in cui i fatti e le persone di cui parla sono diventati polvere e sogno. È questo il potere delle canzoni.
Titolo originale: Anansi Boys
(Edizioni Mondadori - traduzione di Katia Bagnoli)
Nell'ospedale dell'orfanotrofio - reparto maschi a St. Cloud's, nel Maine - due infermiere erano incaricate di dar un nome ai neonati e controllare che il loro piccolo pene guarisse bene, dopo la circoncisione obbligatoria. A quei tempi (nel 192...) tutti i maschi nati al St. Cloud's venivano circoncisi perché il medico dell'orfanotrofio aveva incontrato difficoltà di vario genere nel curare i soldati incirconcisi durante la Grande Guerra. Questo dottore, che era anche il direttore del reparto maschi, non era una persona religiosa: la circoncisione non era un rito, per lui, bensì un atto strettamente sanitario, da eseguirsi per motivi igienici. Il suo nome era Wilbur Larch e ciò, nonostante il lieve sentore di etere che sempre l'accompagnava, a una delle due infermiere rammentava il legno, duro e duraturo, di quell'albero delle conifere che si chiama, appunto, larice. Odiava però il nome Wilbur, che trovava ridicolo; e l'offendeva come cosa stolta l'abbinamento di una parola come Wilbur con qualcosa di tanto concreto quanto un albero.
Titolo originale: The Cider House Rules (1985)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Pier Francesco Paolini)
Come sempre, nel dormiveglia, fu assalito dal ricordo di dove fosse e, con un sincero, autentico grido d'orrore, Arthur Dent si svegliò.
Così, come sempre, cominciò la sua giornata.
Il problema non era tanto il freddo, l'umidità, il cattivo odore della caverna. Il problema era che la caverna si trovava nel bel mezzo di Islington, e che prima di due milioni di anni non sarebbe passato nessun autobus.
Come Arthur ben sapeva, il tempo è il posto (se così lo si può chiamare) peggiore per perdersi; e lui ci si era perso un mucchio di volte: nel tempo e nello spazio.
Titolo originale: Life, the Universe, and Everything (1982)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Laura Serra)
Molti mi chiedono perché mi dedico alla terapia delle vite passate. La mia risposta varia secondo le circostanze. Quando sono intervistato alla tv o alla radio – e succede spesso – dichiaro, con voluta reticenza, di esserci arrivato per volere del destino. Il risultato solitamente è ottimo, e si traduce in ammirate esclamazioni degli intervistatori e del pubblico eventualmente presente. Destino è una parola che piace molto alla gente; viene associata al sovrannaturale, agli astri, che fanno sempre una certa impressione. Approfitto dello sconcerto e mi spingo oltre. Al principio con studiata difficoltà – pause vacillanti, penosi silenzi, ma in un crescendo d'entusiasmo come se le cateratte si aprissero, capisce? le cateratte dell'emozione – rivelo che in origine il mio mestiere era un altro: professore di storia. Ed ecco una nuova sorpresa: di solito mi immaginano psicologo o medico.
Titolo originale: A mulher que escreveu a Bíblia
(Edizioni Voland - traduzione di Guia Boni)
C'era una volta un giovane che desiderava ardentemente soddisfare le proprie brame.
E fin qui, per quanto riguarda l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo (poiché ogni storia, passata o futura, che narri di un giovane potrebbe cominciare alla stessa maniera). Ma strano era il giovane e strani i fatti che lo videro protagonista, tanto che egli stesso non seppe mai come andarono veramente le cose.
La storia ebbe inizio, come molte altre storie dei tempi andati, a Wall.
Ancora oggi, a seicento anni dalla sua nascita, la cittadina di Wall si erge immutata sulla cima di un'alta sporgenza granitica al centro di una piccola foresta. Le case del villaggio sono vecchie e quadrate, fatte di pietra grigia, con neri tetti d'ardesia e comignoli svettanti. Sfruttando ogni minimo spazio della roccia, le case si sorreggono a vicenda, costruite l'una a ridosso dell'altra, con qualche cespuglio o alberello che spunta qua e là dal fianco di un edificio.
Titolo originale: Stardust
(Edizioni Mondadori - traduzione di Maurizio Bertocci)
Immaginatevi un uomo, giovane, che stia per vivere in prima persona un evento di durata inferiore ai trenta secondi: la perdita della mano sinistra, ben prima del traguardo della mezza età.
Da piccolo era sempre stato uno scolaro promettente, un bambino gentile e amabile, senza picchi esagerati di originalità. I compagni di classe delle elementari e delle medie che avevano memoria del futuro beneficiario del trapianto di una mano non si sarebbero mai sognati di descriverlo come una persona audace. In seguito, al liceo, nonostante il suo successo con le ragazze, raramente si era mostrato spavaldo e ancor meno spericolato. Sebbene avesse senza dubbio un bell'aspetto, le sue ex fidanzate ricordavano come sua dote principale la mansuetudine.
Al college nessuno lo avrebbe detto destinato alla fama. «Era così poco stimolante», dichiarò una sua ex fidanzata.
Un'altra ragazza che lo aveva frequentato per un breve periodo, dopo la laurea, in una scuola di perfezionamento, ribadì: «Non aveva l'aria di uno che stesse per fare qualcosa di speciale».
Titolo originale: The Fourth Hand (2001)
(Edizioni BUR - traduzione di Giovanni Pannofino)
Il succo della storia fin qui.
Al principio fu creato l'Universo. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa.
Numerose razze sono convinte che l'universo sia stato creato da una specie di dio.
Gli Jatravartid di Viltvodle VI credono invece che il cosmo sia nato da uno starnuto di un essere chiamato il Grande Ciaparche Verde.
Gli Jatravartid, che vivono nel costante timore del giorno in cui ci sarà l'Avvento del Grande Fazzoletto da Naso Bianco, sono piccole creature azzurre fornite ciascuna di cinquanta braccia, ragion per cui sono stati gli unici, nella storia delle razze intelligenti, ad avere inventato il deodorante per le ascelle prima della ruota.
Titolo originale: The Restaurant at the End of the Universe (1980)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Laura Serra)
Eccomi condannato a ricordare un ragazzo dalla voce fessa - non già a causa della sua voce, né perché fosse la persona più piccola che io abbia mai conosciuto, o neppure perché fu strumento della morte di mia madre - ma perché è lui la ragione per la quale io credo in Dio: sono cristiano grazie a Owen Meany. Non ho la pretesa di vivere in Cristo, o con Cristo - e men che meno per Cristo, come tanti bigotti pretendono. Non ho una conoscenza tanto profonda del Vecchio Testamento, ed è dai giorni del catechismo che non leggo più il Vangelo - a parte quei brani di cui si dà lettura in chiesa. Mi sono piuttosto familiari quei passi della Bibbia riportati dal mio Libro di Preghiere. Questo, lo leggo spesso. La Bibbia, invece, solo alle feste comandate. Il Libro di Preghiere è molto più ordinato.
Titolo originale: A Prayer for Owen Meany (1989)
(Edizioni BUR - traduzione di Pier Francesco Paolini)
In teoria quello doveva essere uno dei giorni più felici della mia vita. Era il 17 giugno 1971, un giovedì. Il BOAC era decollato dall'aeroporto Kennedy alle dieci del mattino, in perfetto orario. Il sole splendeva in un cielo terso e io, dopo avere aspettato tutta una vita, finalmente ero in viaggio per Londra.
Ero tuttavia appena uscita dall'ospedale dopo un intervento improvviso, e la prospettiva di recarmi da sola all'estero mi terrorizzava (figuriamoci, mi spaventa anche solo l'idea di andare da sola dal Queens a Brooklyn, perché mi perdo). Non sapevo proprio cosa avrei fatto se qualcosa fosse andato storto e se all'aeroporto non si fosse presentato nessuno. Soprattutto mi chiedevo come me la sarei cavata con quella valigia gigantesca presa a prestito, che non riuscivo a spostare, e tanto meno a sollevare.
Titolo originale: The Duchess of Bloomsbury Street
(Edizioni Archinto - traduzione di Giovanna Baglieri)
La madre di Garp, Jenny Fields, fu arrestata a Boston nel 1942 per aver ferito un uomo, in un cinema. Ciò avvenne poco dopo l'attacco giapponese contro Pearl Harbor e la gente era, allora, molto tollerante nei confronti dei militari - poiché tutti, d'un tratto, eran andati soldati - ma Jenny Fields, dal canto suo, era decisa di non tollerare il comportamento degli uomini in genere e in specie dei soldati. In quel cinema le era toccato cambiar posto tre volte, ma il soldato si spostava anche lui, standole sempre più addosso. Quando Jenny venne a trovarsi dietro una stupida colonna che quasi le impediva di vedere lo schermo, decise che non ci sarebbe mossa una quarta volta. Il soldato si spostò di nuovo e venne a sederle accanto.
Jenny aveva ventidue anni. Aveva piantato l'università senza neanche finire il primo anno, però aveva portato a termine la scuola da infermiera, e far questo mestiere le piaceva. Era una giovane donna di corporatura atletica, dalle guance sempre colorite; aveva i capelli bruni, lucenti, e una camminata che sua madre diceva mascolina: faceva oscillare le braccia; fianchi e sedere erano tanto snelli che, da dietro, sembrava un giovanotto. I seni - secondo lei - erano troppo grossi; Jenny pensava che, ostentando un tal petto, poteva passare per "una donna facile e dappoco".
Titolo originale: The World According to Garp (1978)
(Edizioni BUR - traduzione di Pier Francesco Paolini)
Era inverno a Belleville e c'erano cinque personaggi. Sei, contando la lastra di ghiaccio. Sette, anzi, con il cane che aveva accompagnato il Piccolo dal panettiere. Un cane epilettico, con la lingua che gli penzolava da un lato.
La lastra di ghiaccio somigliava a una cartina dell'Africa e copriva l'intera superficie dell'incrocio che la vecchia signora si accingeva a traversare. Sì, sulla lastra di ghiaccio c'era una donna molto vecchia, in piedi, malferma sulle gambe, che trascinava con millimetrica prudenza una pantofola davanti all'altra. Reggeva una sporta da cui spuntava un porro d'occasione, portava un vecchio scialle sulle spalle e un apparecchio acustico nella piega dell'orecchio.
Titolo originale: La fée carabine
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)
La voce femminile si diffonde dall'altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa.
- Il signor Malaussène è desiderato all'Ufficio Reclami.
Una voce velata, come se le foto di Hamilton si mettessero a parlare. Eppure, colgo un leggero sorriso dietro la nebbia di Miss Hamilton. Niente affatto tenero, il sorriso. Bene, vado. Arriverò probabilmente la settimana prossima. È il 24 dicembre, sono le 16 e 15, il Grande Magazzino è strapieno. Una fitta folla di clienti gravati dai regali ostruisce i passaggi. Un ghiacciaio che cola impercettibilmente, in un cupo nervosismo. Sorrisi contratti, sudore lucente, ingiurie sorde, sguardi pieni d'odio, urla terrorizzate di bambini acciuffati da Babbi natale idrofili.
- Non aver paura, tesoro, è Babbo Natale!
Rapidi flash.
Titolo originale: Au bonheur des ogres
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)
Ah, Luigi, Luigi! Nell'ampollosità di queste pagine ingiallite, logore e spiegazzate mi par di riudire la tua stessa voce. Da molti anni non avevo più riletto il nostro libro, ma quando mi pervenne la tua lettera ripresi a sfogliarlo. Posso ancora sorriderne e ammirarlo al contempo. L'ammirazione è dovuta al fatto che mi rese famoso, per quanto poco io possa meritare tale fama, e il sorriso è causato dal fatto che mi rese famigerato. Ora mi dici che ti proponi di scrivere un altro libro, un poema epico, questa volta, di nuovo includendovi le avventure di Marco Polo - qualora io voglia consentirlo - ma attribuendole a un protagonista immaginario.
Era quasi mezzanotte e il Primo Ministro stava seduto da solo nel suo ufficio, a leggere una lunga relazione che gli scivolava via dalla mente senza lasciare la minima traccia. Aspettava una chiamata dal presidente di un paese remoto e, tra il chiedersi quando quel disgraziato avrebbe telefonato e il cercare di allontanare gli spiacevoli ricordi di una settimana lunghissima, faticosa e complicata, nella sua testa non c'era molto spazio per altro. Più cercava di concentrarsi sui caratteri stampati della pagina, più chiara vedeva la faccia maligna del suo avversario politico. Questi era apparso al telegiornale quel giorno stesso non solo per elencare tutte le cose terribili successe nell'ultima settimana (come se ci fosse bisogno di ricordarle), ma anche per spiegare perché fossero, dalla prima all'ultima, colpa del Governo.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Beatrice Masini)
HARRY POTTER AND THE HALF-BLOOD PRINCE - J. K. Rowling
It was nearing midnight and the Prime Minister was sitting alone in his office, reading a long memo that was slipping through his brain without leaving the slightest trace of meaning behind. He was waiting for a call from the President of a far distant country, and between wondering when the wretched man would telephone, and trying to suppress unpleasant memories of what had been a very long, tiring, and difficult week, there was not much space in his head for anything else. The more he attempted to focus on the print on the page before him, the more clearly the Prime Minister could see the gloating face of one of his political opponents. This particular opponent had appeared on the news that very day, not only to enumerate all the terrible things that had happened in the last week (as though anyone needed reminding) but also to explain why each and every one of them was the government's fault.
l giorno più caldo dell'estate - almeno fino a quel momento - volgeva al termine e un silenzio sonnacchioso gravava sulle grandi case quadrate di Privet Drive.
Le automobili di solito scintillanti sostavano impolverate nei vialetti e i prati un tempo verde smeraldo si stendevano incartapecoriti e giallognoli, perchè l'irrigazione era stata proibita a causa della siccità. In mancanza delle loro consuete occupazioni - lavare l'auto e falciare il prato - gli abitanti di Privet Drive si eano rintanati nella penombra delle loro case fresche, con le finestre spalancate nella speranza di indurre una brezza inesistente a entrare. La sola persona rimasta all'aperto era un adolescente che giaceva lungo disteso sulla schiena in un'aiuola fuori dal numero quattro.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Beatrice Masini)
HARRY POTTER AND THE ORDER OF THE PHOENIX - J. K. Rowling
The hottest day of the summer so far was drawing to a close and a drowsy silence lay over the large, square houses of Privet Drive. Cars that were usually gleaming stood dusty in their drives and lawns that were once emerald green lay parched and yellowing - for the useof hosepipes had been banned due to drought. Deprived of their usual car-washing and lawn-mowing pursuits, the inhabitants of Privet Drive had retreated into the shade of their cool houses, windows thrown wide in the hope of tempting in a nonexistent breeze. The only person left outdoors was a teenage boy who was lying flat on his back in a flowerbed outside number four.
Gli abitanti di Little Hangleton la chiamavano ancora Casa Riddle, anche se erano passati tanti anni da quando i Riddle ci abitavano. Si trovava sulla collina che dominava il villaggio: alcune delle finestre erano inchiodate, al tetto mancavano delle tegole e l'edera cresceva incolta sulla facciata. Un tempo Casa Riddle era stata una dimora elegante, certo l'edificio più vasto e grandioso nel raggio di chilometi, ma ora era umida, desolata e disabitata.
Gli Hangletoniani convenivano tutti che la vecchia casa era "sinistra". Mezzo secolo prima, qualcosa di strano e terribile era successo là dentro, qualcosa di cui gli abitanti più anziani amavano ancora discutere quando erano a corto di pettegolezzi.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Beatrice Masini)
HARRY POTTER AND THE GOBLET OF FIRE - J. K. Rowling
The villagers of Little Hangleton still called it "the Riddle House", even though it had been many years since the Riddle family had lived there. It stood on a hill overlooking the village, some of its windows boarded, tiles missing from its roof, and ivy spreading unchecked over its face. Once a fine-looking manor, and easily the largest and grandest building for miles around, the Riddle House was now damp, derelict, and unoccupied.
The Little Hangletons all agreed that the old house was "creepy." Half a century ago, something strange and horrible had happened there, something that the older inhabitants of the village still liked to discuss when topics for gossip were scarce.
Harry Potter era un ragazzo insolito sotto molti punti di vista. Prima di tutto, odiava le vacanze estive più di qualunque altro periodo dell'anno. Poi voleva davvero fare i compiti, ma era costretto a studiare di nascosto, nel cuore della notte. E per giunta era un mago.
Era quasi mezzanotte, e Harry era steso sul letto a pancia in giù, le coperte tirate sulla testa come una tenda, una torcia in mano e un grosso libro rilegato in pelle (Storia della magia, di Adalbert Incant) aperto e appoggiato sul cuscino. Fece scorrere la punta della penna d'aquila sulla pagina, aggrottando le sopracciglia, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a scrivere il tema: Perchè i roghi di streghe nel Quattordicesimo secolo furono completamente inutili.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Beatrice Masini)
HARRY POTTER AND THE PRISONER OF AZKABAN - J. K. Rowling
Harry Potter was a highly unusual boy in many ways. For one thing, he hated the summer holidays more than any other time of the year. For another, he really wanted to do his homework, but was forced to do it in secret, in the dead of night. And he also happened to be a wizard.
It was nearly midnight, and he was lying on his front in bed, the blankets drawn right over is head like a tent, a torch in one hand and a large leather-bound book (A History of Magic, by Bathilda Bagshot) propped open against the pillow. Harry moved the tip of his eagle-feather quill down the page, frowning as he looked for something that would help him writing his essay, "Witch-Burning in the Fourteenth Century Was Completely Poinless - discuss".
Non era la prima volta che scoppiava un litigio durante la colazione, al numero 4 di Privet Drive. Il signor Vernon Dursley era stato svegliato all'alba da un fischio acutissimo proveniente dalla camera di suo nipote Harry.
"Tre volte in una settimana!" tuonò dall'altra parte del tavolo. "Se non riesci a tenere a bada quella civetta, dovrà andarsene!"
Ancora una volta, Harry provò a spiegare.
"Si annoia" disse. "Edvige è abituata a volare all'aperto. Se solo potessi lasciarla libera di notte..."
"Ma mi hai preso per scemo?" ringhiò zio Vernon con un pezzetto di uovo fritto impagliato nei baffoni. "So bene cosa succederebbe a lasciar libero quell'animale".
E scambiò un' occhiata cupa con la moglie Petunia.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Marina Astrologo)
HARRY POTTER AND THE CHAMBER OF SECRETS - J. K. Rowling
Not for the first time, an argument had broken out over breakfast at number four, Privet Drive. Mr. Vernon Dursley had been woken in the early hours of the morning by a loud, hooting noise from his nephew Harry's room.
"Third time this week!" he roared across the table. "If you can't control that owl, it'll have to go!"
Harry tried, yet again, to explain.
"She's bored," he said. "She's used to flying around outside. If I could just let her out at night..."
"Do I look stupid?" snarled Uncle Vernon, a bit of fried egg dangling from his bushy mustache. "I know what'll happen if that owl's let out."
He exchanged dark looks with his wife, Petunia.
Mr e Mrs Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante. Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che avessero a che fare con cose strane o misteriose, perché sciocchezze del genere proprio non le approvavano.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Marina Astrologo)
HARRY POTTER AND THE PHILOSOPHER'S STONE - J. K. Rowling
Mr. and Mrs. Dursley, of number four, Privet Drive, were proud to say that they were perfectly normal, thank you very much. They were the last people you'd expect to be involved in anything strange or mysterious, because they just didn't hold with such nonsense.
In una valle ombreggiata ricoperta di rododendri, vicina alla fronte della neve, dove scorreva un ruscello latteo d'acqua di disgelo e dove colombi e fanelli svolazzavano fra pini immensi, c'era un grotta seminascosta dalle rocce strapiombanti e dal fitto fogliame.
I boschi erano popolati di suoni: il ruscello trai sassi, il vento tra gli aghi dei rami di pino, lo stridere degli insetti e i gridi dei piccoli mammiferi, in aggiunta al canto degli uccelli; e di tanto in tanto una raffica di vento più forte faceva sì che i rami di un cedro o di un abete strusciassero l'uno contro l'altro borbottando come un violoncello.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Francesco Bruno)
Will tirò la madre per la mano e disse: "Su dài, vieni.." Ma la madre esitava. Era ancora impaurita. Lo sguardo di Will percorse l'intera stradina, nella luce della prima sera, con la sua fila di casette, ognuna dietro il suo bravo giardinetto e la sua piccola siepe di bosso, mentre il sole accendeva di riflessi le finestre di uno dei lati, e lasciava l'altro in ombra. Non c'era molto tempo.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Alfredo Tutino)
Lyra e il suo daimon si mossero nella crescente penombra del salone, bene attenti a restare da un lato, dove non potevano esser visti dalla cucina. Le tre lunghe tavole che correvano da un capo all'altro del salone erano già apparecchiate, con cristalli e argenti scintillanti sui quali si raccoglieva la scarsa luce, e con le panche già sistemate, pronte per accogliere gli ospiti. In alto, nel buio, erano appesi i ritratti dei precedenti Maestri.
(Edizioni Salani Editore - traduzione di Marina Astrologo e Alfredo Tutino)
Arriviamo alla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche.
(Edizioni Einaudi - traduzione di Armando Marchi, Virginia Ripa di Meana, Giovanni Bogliolo)
Alcuni anni fa, nella città di York, esisteva un'Accademia di maghi, i quali si incontravano il terzo mercoledì di ogni mese per leggere lunghi e noiosi documenti sulla storia della magia inglese.
(Edizioni Longanesi & C. - traduzione di Paolo Merla)
La famiglia Dashwood si era stabilita nel Sussex da molto tempo; le loro proprietà terriere erano vaste, e al centro sorgeva Norland Park, la residenza in cui per molte generazioni avevano vissuto in modo tanto rispettabile da essersi guadagnati la stima di tutti nei dintorni. L'ultimo proprietario era stato un vecchio scapolo, che aveva raggiunto un'età molto avanzata, e che per molti anni aveva avuto come compagna e direttrice della casa la propria sorella. Ma la morte di lei, avvenuta dieci anni prima della sua, aveva prodotto un gran cambiamento nella sua esistenza; perché, per sopperire alla perdita, aveva invitato e accolto in casa la famiglia del nipote, Henry Dashwood, che era l'erede legittimo della proprietà di Norland e la persona a cui lui intendeva lasciarla alla propria morte.
(Edizioni Newton - traduzione di Pietro Meneghelli)
Nessuno che avesse conosciuto Catherine Morland nella sua prima infanzia avrebbe mai supposto che il suo destino sarebbe stato quello di essere un'eroina. Tutto era contro di lei: la posizione sociale, il carattere del padre e della madre, il suo aspetto fisico e perfino le sue inclinazioni.
Il canto dei morti è il pianto dei vivi. Questo pensò Eragon nello scavalcare il cadavere mutilato di un Urgali, mentre si levavano le lamentazioni funebri delle donne che portavano via le salme dei loro cari dalla piana intrisa di sangue del Farthen Dûr. Alle sue spalle, Saphira aggirò la carcassa ondeggiando sinuosa; le sue squame blu zaffiro erano l’unica nota di colore nell’oscurità che dominava la montagna cava.
(Edizioni Fabbri - traduzione di Maria Concetta Scotto di Santillo)
Il vento ululava nella notte, portando con sé un odore che avrebbe cambiato il mondo. Uno Spettro, alto e flessuoso, alzò la testa per fiutare l'aria; aveva sembianze umane, ma i suoi capelli erano cremisi e gli occhi rossi come braci incandescenti.
(Edizioni Fabbri - traduzione di Maria Concetta Scotto di Santillo)
Al Legato e Cappellano di Sua Maestà Don Fray Juan de Zumàrraga, di recente nominato Vescovo della Sede del Messico nella Nuova Spagna, un incarico:
Affinché meglio possiamo conoscere la nostra colonia della Nuova Spagna, le sue singolarità, le ricchezze sue, le genti che la popolano, e le credenze e i riti e le cerimonie da esse ivi celebrate, desideriamo essere informati di tutto ciò che gli Indios caratterizzò nel corso della loro esistenza in quel paese prima che giungessero le nostre forze di liberazione, ambasciatori, evangelizzatori e colonizzatori.
In cima alle bianche scogliere
Etretat
Martedì 7 dicembre 1999
Mattina
Sorella carissima,
la vista da quassù è strabiliante, ma fa troppo freddo per scrivere a lungo. Riesco a malapena a tenere in mano la penna, ma mi ero ripromessa di cominciare questa lettera prima di tornare in Inghilterra, e adesso è davvero la mia ultima occasione.
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Delfina Vezzoli)
Questa è la storia di un uomo chiamato Eddie e comincia dalla fine, con Eddie che muore sotto il sole. Potrebbe sembrare strano iniziare una storia dal finale, ma ogni fine è anche un principio. Solo che, quando sopraggiunge, lo si ignora.
Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia.
(Edizioni Einaudi - traduzione di Silvia Pareschi)
Installarono i behemoth nella stiva, in compaglia degli ippopotami, dei rinoceronti, degli elefanti. Fu un'ottima idea quella di utilizzarli come forza di contrappeso, ma immaginatevi la puzza. E non c'era nessuno che asportasse lo sterco.
(Edizioni Einaudi Tascabili - traduzione di Riccardo Mainardi)
La temperatura della stanza crollò vertiginosamente. Una patina di ghiaccio si formò sulle tende e incrostò le lampade del soffitto. I filamenti delle lampadine si smorzarono e la luce si affievolì, mentre le candele che spuntavano su ogni superficie disponibile come una colonia di funghi si estinsero all'instante.
Era in prigione da tre anni, Shadow. E siccome era abbastanza grande e grosso e aveva sufficentemente l'aria di uno da cui è meglio stare alla larga, il suo problema era più che altro come ammazzare il tempo. Perciò faceva ginnastica per tenersi in forma, imparava i giochi di prestigio con le monete e pensava un sacco a sua moglie e a quanto la amava.
(Edizioni Mondadori - traduzione di Katia Bagnoli)
Venerdì 12 giugno ero già sveglia alle sei: si capisce, era il mio compleanno! Ma alle sei non mi era consentito d'alzarmi, e così dovetti frenare la mia curiosità fino alle sei e tre quarti. Allora non potei più tenermi e andai in camera da pranzo, dove Moortje, il gatto, mi diede il benvenuto strusciandomi addosso la testolina.
Subito dopo le sette andai da papà e mamma e poi nel salotto per spacchettare i miei regalucci. Il primo che mi apparve fosti tu, forse uno dei più belli fra i miei doni. Poi un mazzo di rose, una piantina, due rami di peonie: ecco i figli di Flora che stavano sulla mia tavola quella mattina; altri ancora ne giunsero durante il giorno. Da papà e mamma ebbi una quantità di cose, e anche i nostri numerosi conoscenti mi hanno veramente viziata. Fra l'altro ricevetti un gioco di società, molte ghiottonerie, cioccolata, un puzzle, una spilla, la Camera obscura, le Saghe e leggende olandesi di Joseph Cohen, le Vacanze in montagna di Daisy, un libro straordinario, e un po' di denaro, così che mi potrò comprare i Miti di Grecia e di Roma. Che bellezza!
Alce Nero parla:
Amico, ti racconterò la storia della mia vita, come tu desideri; e se fosse soltanto la storia della mia vita, credo che non la racconterei, perché che cosa è un uomo per dare importanza ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno vissuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.
È la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare, e di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell'aria e tutte le cose verdi; perché sono tutti figli di una stessa madre e il loro padre è un unico Spirito.
(Edizioni Adelphi - traduzione di Rodolfo Wilcock)
In una caverna sotto terra viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.
(Edizioni Adelphi - traduzione di Elena Jeronimidis Conte)
Se, in quei giorni, da Trafalgar Square v'incamminavate per Charing Cross Road, dopo pochi minuti, sul lato destro della via, avreste incontrato un negozio che sulla sommità della vetrina recava la scritta: WILLIAM BUGGAGE - LIBRI RARI.
E' pieno di pratoline selvatiche, qui da te. Sono venuta a mani vuote e allora all'ultimo momento ne colgo qualcuna; rannicchiata su un pezzetto di prato libero, come per un sacrificio propiziatorio scelgo le più belle girando su me stessa e sfiorando con le dita, prima di afferrare i lunghi sottili peduncoli, le corolle tese.
Era una vecchia casa, scalcinata e dall'aspetto per niente amichevole, con aggiunte in stile vittoriano e parecchie stanze vuote.
C'era un perenne odore di carne cotta.
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Roberto Serrai)
Coraline scoprì quella porta poco dopo aver traslocato con la famiglia.
La casa era molto vecchia, con una soffitta,una cantina e un giardino pieno di erbacce e di grossi e vecchi alberi.
Date le sue notevoli dimensioni, però, non era occupata esclusivamente dalla famiglia di Coraline. I suoi ne possedevano solo una parte.
Nel resto dell'edificio abitavano altre persone.
(Edizioni Mondadori - traduzione di Maurizio Bertocci)
Come ogni sabato, Max aveva fatto un giro al mercato delle pulci di Porte de Clignancourt, raggiungendolo a piedi dal lato nord della collina di Montmartre. Da principio si era limitato a curiosare sul banco del venditore presso il quale Lea aveva cambiato le Nike macchiate che Perette le aveva regalato la settimana prima. Poi entrò nel capannone dov'erano esposti articoli coloniali di provenienza militare, e stava frugando in un gran mucchio di oggetti eterogenei quando scorse, in fondo al locale, due tizi piuttosto ben messie molto agitati. Ebbe l'impressione che stessero litigando, ma non era affar suo. Soltanto dopo si accorse del pappagallo: i due stavano tentando di catturarlo.
Allora sì, che diventava affar suo.
Sono un uomo piuttosto anziano. La natura della mia professione, negli ultimi trent'anni, mi ha portato ad aver contatti fuor del comune con ciò che direbbesi un interessante ed alquanto singolare genere di individui, dei quali fino ad ora, ch'io sappia, nulla è stato scritto: mi riferisco ai copisti legali, ovvero scrivani. In gran numero ne ho conosciuti, sia per pratica di lavoro che a titolo personale, e, quando volessi, potrei narrare svariate storie, che forse farebbero sorridere le persone benevole, e forse farebbero piangere le anime sentimentali. Ma rinunzio alla biografia d'ogni altro scrivano per pochi momenti della vita di Bartebly, che fu scrivano, il più stravagante di quanti abbia mai veduto, o di cui abbia avuto notizia.
La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbi comperati lei.
Lucy ne aveva fin che ne voleva, di lavoro. C'era da levare le porte dai cardini; e per questo dovevano venire gli uomini di Rumpelmayer. "E che mattinata!" pensava Clarissa Dalloway "fresca, pare fatta apposta per dei bimbi su una spiaggia."
Che voglia matta di saltare!
(Edizioni Oscar Mondadori - traduzione di Alessandra Scalero)
Questa è la vivida stanza illuminata da luci di candela in cui viene custodita la durata di ogni vita... scansia su scansia, tozze clessidre, una per ogni persona vivente, riversano la loro finissima sabbia dal futuro nel passato. Il sibilo condensato dei granelli che cadono fa ruggire la stanza come fosse il mare.
Questa è invece la padrona della stanza, che incede impettita attraverso di essa con aria preoccupata. Il suo nome è Morte.
Prologo
PARLA MORGANA: Ai miei tempi sono stata chiamata in molti modi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina. Ora, in verità, sono una maga e forse verrà un giorno in cui queste cose dovranno essere conosciute. Ma credo che saranno i cristiani a narrare l'ultima storia. Il mondo della Magia si allontana sempre di più dal mondo dove regna il Cristo. Non ho nulla contro di lui, ma solo contro i suoi preti che negano il potere della Grande Dea oppure l'avvolgono nella veste azzurra della Signora di Nazareth e affermano che era vergine. Ma che cosa può sapere una vergine delle sofferenze dell'umanità?
E ora che il mondo è cambiato e Artù, mio fratello e amante, che fu re e che sarà re, giace morto (e la gente comune lo dice addormentato) nell'Isola Sacra di Avalon, la storia dev'essere narrata com'era prima che i preti del Cristo Bianco venissero a costellarla di santi e leggende.
La mia testa ribolle. È come un gorgoglio di centinaia e centinaia di nuove idee. Continuano incessantemente a sgorgare.
Fino a un certo punto è forse possibile controllare i pensieri, ma difficilmente si riesce a non pensare. L'animo ribolle di idee stravaganti; non arrivo neppure a fissarle che subito vengono rimpiazzate da nuove idee. Non riesco a evitare che i pensieri si confondano. Raramente sono in grado di ricordare quello che ho pensato. Prima che arrivi a riflettere su un'ispirazione, succede sempre che questa si trasformi in un'idea ancora migliore, ma anch'essa talmente evanescente nella sua essenza che mi devo sforzare di metterla al riparo dalla vulcanica eruzione di trovate sempre nuove...
(Edizioni Longanesi - traduzione di Giovanna Paterniti)
Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.
Bilbo era estremamente ricco e bizzarro e, da quando sessant'anni prima era sparito di colpo, per ritornare poi inaspettatamente, rappresentava la meraviglia della Contea.
Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d'Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all'orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevan calvadòs.
Il Duca d'Auge sospirò pur senza interrompere l'attento esame di quei fenomeni consunti.
Gli Unni cucinavano bistecche alla tartara, i Gaulois fumavano gitanes, i Romani disegnavano greche, i Francesi suonavano lire, i Saracineschi chiudevano persiane. I Normanni bevevano calvadòs.
- Tutta questa storia, - disse il Duca d'Auge al Duca d'Auge, - tutta questa storia per un po' di giochi di parole, per un po' d'anacronismi: una miseria. Non si troverà mai una via d'uscita?
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. E' un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l'oceano.
In una notte nera, sotto un cielo sereno e pieno di stelle, nella città di Berlino, nell'anno 2003, due giovani stavano cenando insieme. Si chiamavano Sophie e Patrick.
Si erano incontrati quel giorno per la prima volta. Sophie stava visitando Berlino con sua madre, Patrick con suo padre. La madre di Sophie e il padre di Patrick si erano frequentati per un po', parecchio tempo prima; niente di speciale, però . Per qualche tempo, quando andavano ancora a scuola, il padre di Patrick era stato addirittura innamorato della madre di Sophie, ma erano passati ventinove anni dall'ultima volta che si erano scambiati qualche parola.
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Roberto Serrai)
Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d'accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo d'un uomo che s'inoltra negli anni ed è vicino a morire di un'idropisia del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla, che m'ha curato in sua assenza. È difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana: l'occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E per la prima volta, stamane, m'è venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto più dell'anima, è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone. Basta...
Ehi, mi chiamo Zoe e questo è il mio libro. E' un documento di Idiozia Emotiva in due parti. C'è il "prima", che spiega come sono arrivata sin qui, e c'è il "dopo", che documenta che cosa ci sto a fare. Piccolo dettaglio: naturalmente non sono affatto sicura di cosa ci sto a fare.
C'era una volta una stagione felice in una lontana isola delle Coste di Malizia. I chicchi d'uva si gonfiavano sotto il sole come luminose campane di chiesa, la pioggia era come la visita di un familiare che ci rende allegri quando arriva e allegri quando se ne va, e le giovani donzelle si negavano teneramente ai loro focosi fidanzati finché il matrimonio non li avrebbe uniti. Marta Matarasso era la più bella delle sue figlie, e l'isola faceva delle ipotesi, a volta in forma di scommesse, sull'uomo che l'avrebbe sposata quando avesse compiuto diciassette anni. In quel luogo lontano vivono ancora i nipoti di coloro che fecero carte false per lei, ballerini con scarpe di vernice, pescatori dalla pelle di bronzo, studenti più erettili che concreti, burocrati con cravatte e baffi fuori moda e altri tipi di difficile descrizione.
Tutti i bambini crescono, tranne uno. Lo sanno presto che cresceranno e Wendy lo seppe a questo modo. Un giorno, quando aveva due anni, giocando in un giardino, colse un fiore e lo portò di corsa a sua madre. C'è da immaginare che la bambina, in quell'atteggiamento, sembrasse deliziosa poiché la signora Darling appoggiò le mani al cuore ed esclamò: "Oh, perché non puoi restare così per sempre?" Questo fu tutto quanto passò tra di loro sull'argomento, ma, da allora, Wendy seppe che sarebbe dovuta crescere. Tutti, dopo i due anni, scopriamo questa verità. I due anni sono il principio della fine.
HIGH above the city, on a tall column, stood the statue of the Happy Prince. He was gilded all over with thin leaves of fine gold, for eyes he had two bright sapphires, and a large red ruby glowed on his sword-hilt.
IL PRINCIPE FELICE
Alta sulla città, su di una possente colonna si ergeva la statua del principe felice.
Egli era interamente rivestito di sottili foglie di oro purissimo, i suoi occhi erano due fulgidi zaffiri, e un grande rubino vermiglio scintillava sull'elsa della sua spada.
Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell'appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant'oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.
Badiamo! non voglio mica dare ad intendere che io sappia molto bene che cosa ci sia di morto in un chiodo di porta. Per conto mio, sarei stato disposto a pensare che il pezzo più morto di tutta la ferrareccia fosse un chiodo di cataletto. Ma poiché la saggezza dei nostri nonni sfolgora nelle similitudini, non io vi toccherò con sacrilega mano; se no, il paese è bell'e ito. Lasciatemi dunque ripetere, solennemente, che Marley era morto com'è morto un chiodo di porta.
"Credo che fosse già morto, quando gli ho sparato."
"Scusa?" disse Roberts.
"Credo che fosse morto" rispose Nestor. "Di già. Prima che... sai..."
Roberts guardò il morto.
"Mi stava parlando" disse Roberts, "era giusto a metà di una frase, cazzo..."
"Ma."
"'Ditele che ce l'avrò per...' se non ricordo male."
"Ma."
"E adesso" disse Roberts, "non sapremo mai che cosa voleva dire. Stasera? Natale? Non più di mezz'ora? Cristo santo, che casino."
(Edizioni Guanda - traduzione di Stefania Bertola)
Chi l'ascolta lo sa.
La città canta.
Se stai in silenzio ai piedi d'un giardino, in mezzo alla strada, sul tetto d'una casa.
Di notte la sua voce si fa più nitida e giunge fino in fondo al cuore attraversando la superficie delle cose.
E un canto quasi sempre senza parole, ma un canto nondimeno, e chi lo ascolta sa bene di cosa parli.
Prova a distinguere ciascuna nota e lo sentirai risuonare ancor di più.
(Edizioni Neri Pozza - traduzione di Massimo Ortelio)
Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell'oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.
Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era cosí recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.
(Edizioni Mondadori - traduzione di Enrico Cicogna)
Immaginiamo di essere seduti, voi e io, in una stanza silenziosa affacciata su un giardino, a parlare del più e del meno e a sorseggiare una tazza di tè verde, e che il discorso cada su un fatto avvenuto tanto tempo prima e che io vi dica: "Il pomeriggio in cui incontrai quell'uomo... fu il più bello della mia vita, e anche il più brutto". Sono convinta che mettereste giù la vostra tazza e replichereste: "Be', come'è possibile? Era il più bello o il più brutto? Una cosa esclude l'altra!" Di solito riderei di me stessa, dichiarandomi d'accordo con voi, ma la verità è che il pomeriggio in cui incontrai il signor Tanaka Ichiro fu al tempo stesso il migliore e il peggiore della mia vita. Mi era sembrato un uomo così affascinante che persino il sentore di pesce che proveniva dalle sue mani aveva un che di profumato. Ma, se non l'avessi conosciuto, sono sicura che non avrei mai fatto la geisha.
(Edizione SuperPocket - traduzione di Donatella Cerutti Pini)
L'avviso precisava che si sarebbe trattato di un disagio temporaneo: nei cinque giorni successivi avrebbero sospeso la corrente per un'ora, a partire dalle otto di sera. Era caduta una linea elettrica durante l'ultima tormenta, i tecnici avrebbero approfittato delle serate più miti per rimetterla in sesto. I lavori avrebbero coinvolto soltanto le case della tranquilla strada alberata, a un passo dai negozi e dalla fermata del tram, dove Shoba e Shukumar abitavano da tre anni.
(Edizioni Marcos y Marcos - traduzione di Claudia Tarolo)
Cornelius Engelbrecht ha inventato se stesso. Vorrei chiarire sin dall'inizio che Cornelius non è quello che chiamerei un amico, ma lo conosco abbastanza bene da poter dire che si è confezionato una personalità su misura: scapolo, vestito sobriamente con colori indefinibili, insegnante di matematica, sostenitore del circolo degli scacchi, conoscente discreto di tutti piuttosto che amico intimo di qualcuno, era una persona che cercava di rendersi invisibile. Tuttavia, dietro l'aspetto insignificante si celava un cuore incandescente e, per ragioni che mi sarebbero apparse chiare soltanto in seguito, Cornelius Engelbrecht rivelò proprio a me l'ossessione segreta che nascondeva sotto il suo stile di vita scrupolosamente controllato.
(Edizioni Neri Pozza - traduzione di Maria Clara Pasetti)
Siamo arrivate con il vento del carnevale. Un vento tiepido per febbraio, carico degli odori caldi delle frittelle sfrigolanti, delle salsicce e delle cialde friabili e dolci cotte alla piastra proprio sul bordo della strada, con i coriandoli che scivolano simili a nevischio da colletti e polsini e finiscono sui marciapiedi come inutile antidoto contro l'inverno. C'è un'eccitazione febbrile nella folla disposta lungo la stretta via principale, i colli che si allungano per vedere il carro fasciato di carta crespata, con i suoi nastri svolazzanti e le coccarde di cartoncino.
Non c'è posto al mondo che io ami più della cucina.
Non importa dove si trova, com'è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po' arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi.
Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po' meglio che pensare che sono rimasta proprio sola.
(Edizione Economica Universale Feltrinelli - traduzione di Giorgio Amitrano)
Il signore e la signora Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante. Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che avessero a che fare con cose strane o misteriose, perché sciocchezze del genere proprio non le approvavano.
Quando Sutty tornava sulla terra di giorno, era sempre al villaggio. Di notte, era nella Riserva.
Il giallo dell'ottone, il giallo della pasta di curcuma e del riso cotto con lo zafferano, l'arancione delle calendule, l'opaca foschia aranciata del pulviscolo del tramonto sopra i campi, rosso henné, rosso passiflora, rosso sangue secco, rosso fango: tutti i colori della luce del sole durante il giorno.
(Edizione Strade Blu Mondadori - traduzione di Piero Anselmi)
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.
(Edizioni Adelphi - traduzione di Giulia Arborio Mella)
La mattina che si uccise anche l'ultima figlia dei Lisbon (stavolta toccava a Mary: sonniferi, come Therese) i due infermieri del pronto soccorso entrarono in casa sapendo con esattezza dove si trovavano il cassetto dei coltelli, il forno a gas e la trave del seminterrato a cui si poteva annodare una corda. Scesero dall'ambulanza, con quella che come al solito ci sembrò una lentezza esasperante, e il più grasso disse sottovoce: «Mica siamo in tivù, gente: più presto di così non si può».
(Edizione: Piccola Biblioteca Oscar Mondadori - traduzione di Cristina Stella)
Marks & Co.
84, Charing Cross Road
London, W.C.2
England
Gentili Signori,
leggo dalla vostra inserzione sul Saturday Review of Literature che siete specializzati in libri fuori stampa. L'intestazione «librai antiquari» mi spaventa un poco, perché per me «antico» equivale a dispendioso. Sono una scrittrice senza soldi che ama i libri d'antiquariato, ma da queste parti è impossibile reperire le opere che desidererei avere se non in edizioni molto costose e rare, o in copie scolastiche, sudicie e scribacchiate, della libreria Barnes & Noble.
Allego un elenco delle mie necessità più pressanti. Se aveste qualche copia usata decente di uno qualsiasi dei libri in elenco, a non più di $5.00 l'uno, vi prego di considerare questa mia un ordine d'acquisto e di inviarmeli.
Con i più cordiali saluti
Helene Hanff
(Edizione: Archinto, Le vele - traduzione di Marina Premoli)
Mia madre mi chiese di accompagnarla a vendere la casa. Era arrivata quel mattino a Barranquilla dal paese lontano dove viveva la famiglia e non aveva la minima idea su come trovarmi. Domandando qui e là fra i conoscenti, le indicarono di cercarmi nella libreria Mondo o nei caffè lì accanto, dove mi recavo due volte al giorno a chiacchierare con i miei amici scrittori. Chi glielo disse l'avvertì: "Ci stia attenta perché sono dei pazzi scatenati". Arrivò a mezzogiorno in punto. Si fece strada col suo andare lieve fra i tavoli carichi di libri in mostra, mi si piantò davanti, guardandomi negli occhi col sorriso malizioso dei suoi giorni migliori, e prima che io potessi reagire, mi disse:
"Sono tua madre."
(Edizioni Mondadori - traduzione di Angelo Morino)
Seduto sul cesso senz'asse nel retro della cella, ero intento a lucidare le orribili scarpe dalla punta bulbiforme che venivano fornite a chi stava per uscire. Mi attraversò la mente un canto di trionfo: "Domattina sarò un uomo libero". Ma nonostante l'esultanza, la gioia di uscire dopo otto calendari sfogliati in prigione era tutt'altro che sfrenata. La lucidatura delle orrende scarpe non era tanto tesa a migliorare il loro aspetto, quanto ad alleviare la mia tensione.
(Edizione Einaudi Tascabili Stile Libero - traduzione di Stefano Bortolussi)
Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l'intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine. Neanche un bambino nei giardini. Ombre e luce sulle zoysie ingiallite. Querce rosse e querce di palude e querce bicolori riversavano una pioggia di ghiande sulle case senza ipoteca. Le controfinestre rabbrividivano nelle stanze da letto vuote. E poi il ronzio monotono e singhiozzante di un'asciugabiancheria, la contesa nasale di un soffiatore da giardino, il maturare di mele nostrane in un sacchetto di carta, l'odore della benzina con cui Alfred Lambert aveva ripulito il pennello dopo la verniciatura mattutina del divanetto di vimini.
Le tre del pomeriggio erano un'ora pericolosa nei sobborghi gerontocratici di St. Jude. Alfred si era svegliato nella grande poltrona blu in cui di era addormentato dopo il pranzo. Aveva finito il suo pisolino e il prossimo notiziario locale iniziava soltanto alle cinque. Due ore vuote erano una fistola che generava infezioni. Si alzò a fatica, raggiunse il tavolo da ping pong e si mise in ascolto di Enid, ma non la sentì.
(Edizioni Einaudi - traduzione di Silvia Pareschi)
Era un venerdì pomeriggio perfettamente normale nella Panama dei tropici, fino al momento in cui Andrew Osnard piombò nella sartoria di Harry Pendel chiedendo che gli prendessero le misure per un abito. Prima di questa irruzione, Pendel era una persona. Dopo che Osnard fu uscito, Pendel era un'altra persona. Tempo trascorso: settantasette minuti, secondo la pendola di mogano di Samuel Collier di Eccles, una delle molte attrattive storiche della ditta Pendel & Braithwaite Co., Limitada, Sarti della Casa Reale, un tempo ubicata in Savile Row, a Londra, e attualmente in Vía España, Panama City.
O da quelle parti. Tanto vicina alla España che non c'era nessuna differenza. E per brevità P & B.
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Luigi Schenoni)
Era l'ultima lite, almeno questo era chiaro. Ma benché l'avesse presentita da giorni e forse da settimane, nulla poteva placare l'ondata di rabbia e risentimento che gli stava montando dentro. Era lei dalla parte del torto, e s'era rifiutata d'ammetterlo. Ogni argomento che lui aveva provato a opporre, ogni suo tentativo di mostrarsi conciliante e ragionevole gli era stato distorto, contorto e ribaltato contro.
(Edizione Universale Economica Feltrinelli - traduzione di Domenico Scarpa)
Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e muoiono, goffamente inermi sotto il sole.
Le notti sono limpide, ma soffuse di un'attesa fosca e pigra.
Sarebbe la storia di un dittatore agorafobico. Poco importa il paese. Basta immaginare una di quelle repubbliche delle banane con il sottosuolo abbastanza ricco perché si desideri prendervi il potere e abbastanza aride in superficie per essere fertili di rivoluzioni. Mettiamo che la capitale si chiami Teresina, come la capitale del Piauí, in Brasile. Il Piauí è uno stato troppo povero per poter mai servire da cornice a una favola sul potere, ma Teresina è un nome accettabile per una capitale.
E Manuel Pereira da Ponte Martins sarebbe un nome plausibile per un dittatore.
Sarebbe quindi la storia di Manuel Pereira da Ponte Martins, dittatore agorafobico. Pereira e Martins sono i due cognomi più diffusi nel suo paese. Da ciò la sua vocazione di dittatore; quando ti chiami due volte come tutti, il potere ti spetta di diritto. È quello che lui si dice da quando ha l'età per pensare.
(Edizioni Feltrinelli - traduzione di Yasmina Melaouah)
3 aprile
Myriam,
tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.
Ti ho vista l'altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamata "professoressa". Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me.
(Edizioni Oscar Mondadori - traduzione di Alessandra Shomroni)
Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che ormai il vecchio era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un'altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all'albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand'era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.
Sono rimasto molto colpito dall'autobiografia di Mary Karr, The Liars' Club. Non solo per la sua ferocia, la sua bellezza e la deliziosa padronanza del linguaggio vernacolare dell'autrice, ma per la sua totalità. Mary è una donna che dei suoi primi anni di vita ricorda tutto.
Io non sono così. Ho vissuto un'infanzia anomala, convulsa, cresciuto da una madre single che durante i miei primi anni condusse un'esistenza nomade e che (ma di questo non sono del tutto sicuro) affidò per un po' me e mio fratello a una zia perché era, in quel periodo, economicamente o emotivamente incapace di accudirci. Forse stava solo inseguendo mio padre, che accumulò una montagna di conti in sospeso e prese il largo quando io avevo due anni e mio fratello David quattro. Se così fu, le sue ricerche non ebbero successo. Mia madre, Nellie Ruth Pillsbury King, fu una delle prime donne statunitensi liberate, ma non per sua scelta.
Mary Karr dipinge la sua infanzia in un panorama quasi ininterrotto. Il mio è un paesaggio nebbioso nel quale i ricordi appaiono qua e là come alberi isolati... di quelli che hanno l'aria di volerti ghermire e divorare.
Ho raccolto qui alcuni di quei ricordi, insieme con istantanee assortite dei giorni un po' più coerenti della mia adolescenza e prima maturità. Questa non è un'autobiografia. È caso mai una specie di curriculum vitae, il mio tentativo di spiegare come si è formato uno scrittore. Non come uno scrittore è stato formato; io non credo che gli scrittori possano ricevere una formazione, né dalle circostanze, né per propria volontà (anche se così ho creduto in passato). L'attrezzatura è compresa nella confezione originale. Ma non stiamo parlando di accessori inusuali; io credo che siano molti ad avere, se pur in forma germinale, talento di scrittore e narratore, e che questo talento possa essere rafforzato e affinato. Se non ne fossi convinto, scrivere un libro come questo sarebbe una perdita di tempo.
Così è stato per me, né più né meno, un processo di crescita disarticolato nel quale hanno agito in varia misura ambizione, desiderio, fortuna e un briciolo di talento. Non sforzatevi di leggere tra le righe e non cercate un filo conduttore. Non ci sono fili, solo istantanee, in gran parte sfocate.
(Edizione Sperling & Kupfer - traduzione di Tullio Dobner)
Mister Brother si fa la barba per uscire. Ha un appuntamento. A Mister Brother piace prepararsi, e gli piace aver fatto sesso. Tutto quello che ci sta in mezzo è solo ordinaria amministrazione.
"Ehi Mezzasega," dice. "Vacci piano stasera sulle lenzuola, la mamma ha finito la candeggina."
Mezzasega (che saresti tu, se ti va di calarti nei suoi panni per un po') dice: "Sta zitto, scemo."
"Ehi," dice Mister Brother, passandosi con fare esperto il rasoio usa e getta sulla guancia. "Non chiamarmi scemo, lo sai quanto mi dà sui nervi."
(Edizioni Bompiani - Traduzione di Rossella Bernascone, Ivan Cotroneo, Il Seminario Internazionale del Collegio dei Traduttori Grinzane Cavour)
Soli, lo si è in una casa. Non fuori, ma dentro di essa. Nel parco ci sono gli uccellini, i gatti e una volta anche uno scoiattolo, un furetto. Non si è soli in un parco. Invece in casa si è tanto soli da sentirsi talvolta smarriti. Ora so di esserci rimasta dieci anni per scrivere libri che mi hanno fatto sapere, a me e agli altri, che ero lo scrittore che sono.
(Edizione Feltrinelli - traduzione di Leonella Prato Caruso)
I sette messaggeri
Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare.
Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati, esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei.
Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all'estrema frontiera.
Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.
In un borgo della Mancia, che non voglio ricordarmi come si chiama, viveva non è gran tempo un nobiluomo di quelli che hanno e lancia nella rastrelliera e un vecchio scudo, un magro ronzino e un levriere da caccia. Un piatto di qualcosa, più vacca che castrato, brincelli di carne in insalata, il più delle sere, frittata in zoccoli e zampetti il sabato, lenticchie il venerdì, un po' di piccioncino per soprappiù la domenica, esaurivano i tre quarti dei suoi averi. Al resto davano fine la zimarra di castorino, i calzoni di velluto per le feste con le corrispondenti controscarpe pur di velluto. Nei giorni fra settimana poi gli piaceva vestire d'orbace del più fino.
Ecco, per stilare una classifica, le cinque più memorabili fregature di tutti i tempi, in ordine cronologico:
1) Alison Ashworth
2) Penny Hardwick
3) Jackie Allen
4) Charlie Nicholson
5) Sarah Kendrew
Ecco quelle che mi hanno ferito davvero. Ci vedi forse il tuo nome lì in mezzo, Laura? Ammetto che rientreresti tra le prime dieci, ma no c'è spazio per te tra le prime cinque; sono posti destinati a quel genere di umiliazioni e di strazi che tu semplicemente non sei in grado di appioppare.
Questo forse suona più cattivo di quanto vorrei, ma il fatto è che noi siamo troppo cresciuti per rovinarci la vita a vicenda, e questo è un bene, non un male, per cui se non sei in classifica, non prenderla sul piano personale.
Quei tempi sono passati, e che liberazione, cazzo; l'infelicità significava davvero qualcosa, allora. Adesso è solo una seccatura, un pò come avere il raffreddore o essere al verde. Se volevi veramente incasinarmi, dovevi arrivare prima.
Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747. Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi strati di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all'aeroporto di Amburgo. La fredda pioggia di novembre tingeva di scuro la terra trasformando tutta la scena, con i meccanici negli impermeabili, le bandiere issate sugli anonimi edifici dell'aeroporto e l'insegna pubblicitaria della BMW, in un tetro paesaggio di scuola fiamminga. E' proprio vero: sono di nuovo in Germania, pensai.
Quando l'aereo ebbe completato l'atterraggio, la scritta "Vieteto fumare" si spense e dagli altoparlanti cominciò a diffondersi a basso volume una musica di sottofondo. Era Norwegian Wood dei Beatles in una annacquata versione orchestrale. E come sempre mi bastò riconoscerne la melodia per sentirmi turbato. Anzi, questa volta ne fui agitato e sconvolto come non mi era mai accaduto.
(Edizione Universale Economica Feltrinelli - traduzione di Giorgio Amitrano)
Ero al volante di una Chevrolet Nova 370 del '69, quattro cilindri con cerchi in lega e doppio tubo di scappamento. È una macchina coi controcoglioni. Le ho tolto la marmitta, e adesso romba come una Harley. La gente la adora. Mi stavo guardando dal finestrino nello specchietto sul lato del guidatore; lo faccio in continuazione. Guardo dentro qualunque superficie che rifletta. Non è una dote di cui andare fiero, e vorrei essere capace di evitarlo, ma è più forte di me. Sono vanesio come un pavone. È disgustoso. Il più delle volte quando mi guardo allo specchio lo faccio per controllare se ci sono ancora; oppure immagino di essere qualcun altro, un bandito messicano o roba del genere. Perché ho i baffi. Quasi tutti gli uomini coi baffi sembrano un po' froci, ma io no. Però me li tocco troppo. Sto sempre a toccarmeli. Non so neanche perché vi sto raccontando questo, adesso. È che mi guardo in continuazione allo specchio e vorrei evitarlo. Non mi dà assolutamente nessun piacere.
Avevo le dita congelate intorno al volante. Albany a febbraio è un'unica lastra di ghiaccio, nera e fuligginosa. La voce di donna alla radio annunciò l'ora e la temperatura: le otto e quarantadue, meno cinque gradi. Io e Christy avevamo rotto quindici ore prima ed ero in tilt. Avevo indosso la mia uniforme, quella di gala; è fantastica. Le divise militari ti fanno sentire qualcuno, ti fanno sentire di avere uno scopo, anche se non ce l'hai. Ti senti speciale, parte della tradizione. Non sei una persona qualunque, un civile: sei nobile. Ma tutto questo orgoglio ha un rovescio della medaglia: sono soltanto balle.
Questa è la mia storia.
(Edizioni Minimum Fax - Traduzione di Martina Testa)
Erano circa le 5 di una mattina d'inverno, in Siria. Lungo il marciapiede della stazione d'Aleppo era già formato il treno che gli orari ferroviari internazionali indicavano pomposamente col nome di Taurus Express, e che consisteva in due vetture ordinarie, un vagone-letto e un vagone-ristorante con annesso cucinino.
Vicino alla scaletta di uno degli sportelli del vagone-letto, un giovane tenente francese, splendido nella sua uniforme, conversava con un omino imbacuccato fino alle orecchie e del quale erano visibili solo il naso arrossato e le punte di un paio di baffi arricciati all'insù.
Dalla prima regione di liquida oscurità, nella seconda regione di aria e di luce, ho redatto le seguenti note con il loro misto di fatti e di verità con lo sguardo sempre fisso alla Terza Regione, dove il punto di partenza è il mito.
(Edizione Einaudi Tascabili - traduzione di Lidia Conetti Zazo)
Si affretta, via di casa, indosso ha un cappotto troppo pesante per il clima. È il 1941. È scoppiata una nuova guerra. Ha lasciato un biglietto per Leonard, e un altro per Vanessa. Cammina con determinazione verso il fiume, sicura di quello che farà, ma anche in questo momento è quasi distratta dalla vista delle colline, della chiesa e di un gregge sparso di pecore, incandescente, tinto di una debole traccia di zolfo, che pascola sotto un cielo che si fa più scuro. Si ferma, osserva le pecore e il cielo, poi riprende a camminare.
Titolo originale: The hours (1998)
(Edizioni Tascabili Bompiani - traduzione di Ivan Cotroneo)
Questa è una bellissima biblioteca, molto fornita, molto americana, e l'ora è perfetta. È mezzanotte. La biblioteca dorme profondamente. Come un bimbo che sogna, la porto dentro l'oscurità di queste pagine. Adesso la biblioteca è "chiusa", ma io non devo tornare a casa, perché è questa la mia casa, da anni. Del resto, devo stare sempre qui. Rientra nelle mie mansioni. Non vorrei darmi il tono d'un piccolo burocrate, però mi spaventa solo l'idea che possa venire qualcuno e non trovarmi.
Da ore siedo a questa scrivania, a fissare gli scaffali in penombra, zeppi di libri. Amo la loro presenza, il modo in cui fanno onore al legno su cui posano. Sta per piovere, lo so.
Le nubi hanno giocato col sereno del cielo tutto il giorno, alla fine si sono insediate, con i loro plumbei tabarri, ma finora niente pioggia.
Ho "chiuso" la biblioteca alle nove. Ma se arriva qualcuno con un libro, basta che tiri il cordone della campanella, per distogliermi da qualsiasi altra attività: che dorma o cucini, che mangi o faccia l'amore con Vida. Vida sarà qui a momenti.
Stacca dal lavoro alle undici e mezzo.
(Edizione MARCOS Y MARCOS - Traduzione di Pier Francesco Paolini)
Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l'abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant'anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore. Il giorno in cui arrivò Barrabás era Giovedí Santo.
(Edizione: Universale Economica Feltrinelli - traduzione di Angelo Morino e Sonia Piloto di Castri)
La sera d'estate era calda e immobile. Deserto il molo di cemento e nell'aria file di lampadine, rosse, bianche, gialle, che ardevano come insetti sopra il deserto di legname. Lungo tutta la linea dei baracconi, i gestori se ne stavano imbambolati come manichini di cera un po' sfatta. Due clienti erano transitati un'ora prima. Adesso quei due solitari, sull'ottovolante, circuitavano un vuoto dopo l'altro strillando come scannati a ogni tuffo nel barbaglio notturno. Aimee si mosse, attraversò lentamente la corsia, con alcuni anelli da lancio di legno consunto incollati alle mani sudate, e sostò dietro alla biglietteria che fronteggiava la Casa degli Specchi. Si vide, grottescamente deformata, nei tre specchi ondulati all'esterno del labirinto e in mille stanche copie di se stessa che si perdevano nel restrostante corridoio, immagini calde in tutta quella limpida freddezza.
(Edizione Mondadori - traduzione di Renato Prinzhofer)
Il 2 gennaio 1942 portava buone notizie e cattive notizie.
Prima le buone: scoprii di essere classificato 4F e che non sarei andato in guerra a fare il soldatino. Non mi sentivo affatto poco patriottico perché la mia Seconda guerra mondiale me l'ero già fatta cinque anni prima in Spagna e per provarlo avevo due buchi di pallottola sul culo.
Vai a capire perché sono stato colpito al culo.
A ogni modo era una pidocchiosa storia di guerra. La gente non ti guarda come un eroe quando gli dici che sei stato colpito al culo.
(Edizione MARCOS Y MARCOS - traduzione di Pietro Grossi)
Era inevitabile: l'odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì appena entrato nella casa ancora in penombra, dove era accorso d'urgenza per occuparsi di un caso che per lui aveva cessato di essere urgente da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e suo avversario di scacchi più pietoso, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro di oro.
PROLOGO AL COMINCIAMENTO DI UN MOLTO RIGIDO VIAGGIO
Il mio nome per la legge è Alexander Perchov. Ma tutti i miei amici mi chiamano Alex, perché è una versione del nome più flaccida da pronunciare. Mia madre mi chiama Alex-basta-di-ammorbarmi perché sempre la ammorbo. Se volete sapere perché sempre l'ammorbo, è perché sempre sono in altri posti con amici, e seminando tanta moneta e eseguendo così tante cose che possono ammorbare mia madre. Mio padre mi chiamava Shapka per il cappello di pelliccia che calzavo in testa anche nei mesi d'estate. Poi ha smesso di dirmi così perché gli ho ordinato di smettere di dire così. Mi sembrava un nome bambinoso, e io invece mi sono sempre pensato un uomo molto potente e inseminativo. Ho avuto una baldoria di ragazze, credetemi, e tutte per me hanno un nome differente.
(Edizione Guanda - traduzione di Massimo Bocchiola)
Che bolgia!
Il pienone di mezzogiorno. Un inferno al banco e in sala. La ressa, l'abboffata, e il chiasso a più non posso. Una gara a chi strilla, smandibola, sforchetta di più. Un brulicame cotto a pressione. Da non ri trovarci i propri denti di dietro, ammesso di averli ancora. Qui, a ciascuno la sua piccola fetta: un'ora da imbottire come un naso. Sniffa a tutto menù. La carta per i prìncipi. Ci si rimpinza la pancia e verrebbe da ruttare a bocca aperta ogni amarezza. Ma è già ora di sgombrare.
(Edizione: Universale Economica Feltrinelli - traduzione di Annamaria Ferrero)
Era meglio se i miei restavano a New York dove si erano conosciuti e sposati e dove sono nato io. Invece se ne sono tornati in Irlanda che io avevo quattro anni, mio fratello Malachy tre, i gemelli Oliver e Eugene appena uno e mia sorella Margaret era già morta e sepolta.
Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un'infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irladese è peggio di un'infanzia infelice qualunque, e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora.
Gente che si vanta o si lamenta delle tribolazioni patite nei primi anni di vita se ne trova dappertutto, ma niente regge il confronto con la versione irlandese: la povertà; il padre alcolizzato chiacchierone e buono a nulla; la madre pia e derelitta che geme accanto al fuoco; i preti boriosi; i maestri arroganti; gli inglesi e le cose tremente che ci hanno fatto per ottocento anni...
E poi, tutta quell'umidità.
Sull'oceano Atlantico si formavano grandi quinte di pioggia che risalivano lentamente il fiume Shannon per stabilirsi a Limerick in eterno. La pioggia bagnava la città dalla circoncisione a capodanno, scatenando uno sgangherato concerto di tossi secche, raspi bronchiali, rantoli asmatici e gracchi tubercolotici.
Trasformava nasi in fontanelle, i polmoni in spugne batteriche, e dava la stura a una marea di rimedi: per sciogliere il catarro bisognava lessare una cipolla nel latte nero di pepe; per le congestioni si faceva un impiastro di farina e di ortiche bollite, che andava messo in un straccio e poi sbattuto, ancora sfrigolante, sul petto del malato.
Da ottobre ad aprile i muri di Limerick luccicavano di umidità. I vestiti non si ascigavano mai; i cappotti di lana e tweed ospitavano organismi viventi e a volte ci cresceva una vegetazione misteriosa. Al pub,il vapore che saliva da corpi e dagli indumenti bagnaticci arrivava alle narici mischiato al fumo di sigaretta e di pipa e ai miasmi del whiskey e della birra stantia corretti dall'odore di piscio dei cessi all'aperto dove molti finivano per vomitare la paga della settimana.
La pioggia ci spingeva in chiesa, il solo rifugio, il solo conforto, il solo posto asciutto che conoscevamo.
Durante la messa, la benedizione, le novene, ci stringevamo in crocchi folti e umidi e sonnecchiavamo con la litania del prete che ci ronzava nelle orecchie, mentre il vapore si levava di nuovo dai nostri abiti per mescolarsi alla dolcezza dell'incenso, dei fiori e delle candele.
Limerick aveva la fama d'essere una città molto religiosa, ma noi sapevamo che era solo la pioggia.
(Edizione Gli Adelphi - Traduzione Claudia Valeria Letizia)
DI LA' DALLA FINESTRA ALTA E STRETTA DEL BAGNO il cortile di dicembre è grigio e triste, gli alberi si stagliano calligrafici. Fuori il vapore di scarico dell'asciugatrice si alza in pesanti volute, sfilacciandosi e avviluppandosi nel cielo bianco.
La casa è un bordello totale.
Mi tiro su i pantaloni e torno da mia madre. Attraverso il corridoio, supero la lavanderia e di lì passo in sala da pranzo. Mi chiudo la porta alle spalle, smorzando il rumore delle scarpe di Toph che rotolano dentro l'asciugatrice.
(Edizione: Piccola Biblioteca Oscar Mondadori - traduzione di Giuseppe Strazzeri)
L'estate in cui mio padre comprò l'orso, nessuno di noi era ancora nato. Neanche concepito: né Frank, il maggiore; né Franny, la più vispa; né io, il terzo; né i due più piccoli, Lilly e Egg. Mio padre e mia madre si conoscevano da sempre, erano cresciuti assieme, ma la loro "unione" - come Frank l'ha sempre chiamata - non aveva ancora avuto luogo quando mio padre comprò l'orso.
"La loro 'unione', Frank?", lo canzonava sempre Franny.
Benché Frank fosse il più grande, a me sembrava più piccolo di Franny, e Franny lo trattava appunto come un bamboccio. "Vorrai dire, Frank, che non avevano ancora cominciato a scopare."
"Non avevano ancora consumato la loro relazione," disse Lilly una volta. Benché fosse più giovane di tutti, tranne Egg, Lilly si comportava con noi da sorella maggiore: cosa che irritava Franny.
Titolo originale: The Hotel New Hampshire (1981)
(Edizione: Tascabili Bompiani - traduzione di Pier Francesco Paolini)
Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell'estremo limite della Spirale della Galassia, c'è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c'è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro-verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un'ottima invenzione.
Titolo originale: The Hitchhiker's Guide to the Galaxy (1979)
(Edizione: Piccola Bibliotaca Oscar Mondadori - traduzione di Laura Serra)