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Archivio - dicembre 2006

[31 dicembre 06]

Comincia, come quasi tutto, con una canzone.
Al principio era il verbo, erano parole accompagnate da una melodia. È così che venne fatto il mondo, che il vuoto fu diviso, che le terre e le stelle e i sogni e gli dèi minori e gli animali... che ogni cosa venne al mondo.
Con il canto.
I grandi rettili furono cantati dopo che il cantore aveva finito con i pianeti, le colline, gli alberi, gli oceani e gli animali più piccoli. Furono cantate le scogliere che legano l'esistenza, i terreni di caccia, e l'oscurità.
Le canzoni rimangono. Durano. La canzone giusta può trasformare un imperatore nello zimbello del paese, può far cadere dinastie. Una canzone dure ben oltre il momento in cui i fatti e le persone di cui parla sono diventati polvere e sogno. È questo il potere delle canzoni.

Titolo originale: Anansi Boys
(Edizioni Mondadori - traduzione di Katia Bagnoli)


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[29 dicembre 06]

Nell'ospedale dell'orfanotrofio - reparto maschi a St. Cloud's, nel Maine - due infermiere erano incaricate di dar un nome ai neonati e controllare che il loro piccolo pene guarisse bene, dopo la circoncisione obbligatoria. A quei tempi (nel 192...) tutti i maschi nati al St. Cloud's venivano circoncisi perché il medico dell'orfanotrofio aveva incontrato difficoltà di vario genere nel curare i soldati incirconcisi durante la Grande Guerra. Questo dottore, che era anche il direttore del reparto maschi, non era una persona religiosa: la circoncisione non era un rito, per lui, bensì un atto strettamente sanitario, da eseguirsi per motivi igienici. Il suo nome era Wilbur Larch e ciò, nonostante il lieve sentore di etere che sempre l'accompagnava, a una delle due infermiere rammentava il legno, duro e duraturo, di quell'albero delle conifere che si chiama, appunto, larice. Odiava però il nome Wilbur, che trovava ridicolo; e l'offendeva come cosa stolta l'abbinamento di una parola come Wilbur con qualcosa di tanto concreto quanto un albero.

Titolo originale: The Cider House Rules (1985)
(Edizioni Bompiani - traduzione di Pier Francesco Paolini)


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[25 dicembre 06]

Come sempre, nel dormiveglia, fu assalito dal ricordo di dove fosse e, con un sincero, autentico grido d'orrore, Arthur Dent si svegliò.
Così, come sempre, cominciò la sua giornata.
Il problema non era tanto il freddo, l'umidità, il cattivo odore della caverna. Il problema era che la caverna si trovava nel bel mezzo di Islington, e che prima di due milioni di anni non sarebbe passato nessun autobus.
Come Arthur ben sapeva, il tempo è il posto (se così lo si può chiamare) peggiore per perdersi; e lui ci si era perso un mucchio di volte: nel tempo e nello spazio.

Titolo originale: Life, the Universe, and Everything (1982)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Laura Serra)


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[23 dicembre 06]

Molti mi chiedono perché mi dedico alla terapia delle vite passate. La mia risposta varia secondo le circostanze. Quando sono intervistato alla tv o alla radio – e succede spesso – dichiaro, con voluta reticenza, di esserci arrivato per volere del destino. Il risultato solitamente è ottimo, e si traduce in ammirate esclamazioni degli intervistatori e del pubblico eventualmente presente. Destino è una parola che piace molto alla gente; viene associata al sovrannaturale, agli astri, che fanno sempre una certa impressione. Approfitto dello sconcerto e mi spingo oltre. Al principio con studiata difficoltà – pause vacillanti, penosi silenzi, ma in un crescendo d'entusiasmo come se le cateratte si aprissero, capisce? le cateratte dell'emozione – rivelo che in origine il mio mestiere era un altro: professore di storia. Ed ecco una nuova sorpresa: di solito mi immaginano psicologo o medico.

Titolo originale: A mulher que escreveu a Bíblia
(Edizioni Voland - traduzione di Guia Boni)


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[21 dicembre 06]

C'era una volta un giovane che desiderava ardentemente soddisfare le proprie brame.
E fin qui, per quanto riguarda l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo (poiché ogni storia, passata o futura, che narri di un giovane potrebbe cominciare alla stessa maniera). Ma strano era il giovane e strani i fatti che lo videro protagonista, tanto che egli stesso non seppe mai come andarono veramente le cose.
La storia ebbe inizio, come molte altre storie dei tempi andati, a Wall.
Ancora oggi, a seicento anni dalla sua nascita, la cittadina di Wall si erge immutata sulla cima di un'alta sporgenza granitica al centro di una piccola foresta. Le case del villaggio sono vecchie e quadrate, fatte di pietra grigia, con neri tetti d'ardesia e comignoli svettanti. Sfruttando ogni minimo spazio della roccia, le case si sorreggono a vicenda, costruite l'una a ridosso dell'altra, con qualche cespuglio o alberello che spunta qua e là dal fianco di un edificio.

Titolo originale: Stardust
(Edizioni Mondadori - traduzione di Maurizio Bertocci)


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[20 dicembre 06]

Immaginatevi un uomo, giovane, che stia per vivere in prima persona un evento di durata inferiore ai trenta secondi: la perdita della mano sinistra, ben prima del traguardo della mezza età.
Da piccolo era sempre stato uno scolaro promettente, un bambino gentile e amabile, senza picchi esagerati di originalità. I compagni di classe delle elementari e delle medie che avevano memoria del futuro beneficiario del trapianto di una mano non si sarebbero mai sognati di descriverlo come una persona audace. In seguito, al liceo, nonostante il suo successo con le ragazze, raramente si era mostrato spavaldo e ancor meno spericolato. Sebbene avesse senza dubbio un bell'aspetto, le sue ex fidanzate ricordavano come sua dote principale la mansuetudine.
Al college nessuno lo avrebbe detto destinato alla fama. «Era così poco stimolante», dichiarò una sua ex fidanzata.
Un'altra ragazza che lo aveva frequentato per un breve periodo, dopo la laurea, in una scuola di perfezionamento, ribadì: «Non aveva l'aria di uno che stesse per fare qualcosa di speciale».

Titolo originale: The Fourth Hand (2001)
(Edizioni BUR - traduzione di Giovanni Pannofino)


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[19 dicembre 06]

Il succo della storia fin qui.
Al principio fu creato l'Universo. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa.
Numerose razze sono convinte che l'universo sia stato creato da una specie di dio.
Gli Jatravartid di Viltvodle VI credono invece che il cosmo sia nato da uno starnuto di un essere chiamato il Grande Ciaparche Verde.
Gli Jatravartid, che vivono nel costante timore del giorno in cui ci sarà l'Avvento del Grande Fazzoletto da Naso Bianco, sono piccole creature azzurre fornite ciascuna di cinquanta braccia, ragion per cui sono stati gli unici, nella storia delle razze intelligenti, ad avere inventato il deodorante per le ascelle prima della ruota.

Titolo originale: The Restaurant at the End of the Universe (1980)
(Edizioni Mondadori - traduzione di Laura Serra)


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[18 dicembre 06]

Eccomi condannato a ricordare un ragazzo dalla voce fessa - non già a causa della sua voce, né perché fosse la persona più piccola che io abbia mai conosciuto, o neppure perché fu strumento della morte di mia madre - ma perché è lui la ragione per la quale io credo in Dio: sono cristiano grazie a Owen Meany. Non ho la pretesa di vivere in Cristo, o con Cristo - e men che meno per Cristo, come tanti bigotti pretendono. Non ho una conoscenza tanto profonda del Vecchio Testamento, ed è dai giorni del catechismo che non leggo più il Vangelo - a parte quei brani di cui si dà lettura in chiesa. Mi sono piuttosto familiari quei passi della Bibbia riportati dal mio Libro di Preghiere. Questo, lo leggo spesso. La Bibbia, invece, solo alle feste comandate. Il Libro di Preghiere è molto più ordinato.

Titolo originale: A Prayer for Owen Meany (1989)
(Edizioni BUR - traduzione di Pier Francesco Paolini)


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[17 dicembre 06]

In teoria quello doveva essere uno dei giorni più felici della mia vita. Era il 17 giugno 1971, un giovedì. Il BOAC era decollato dall'aeroporto Kennedy alle dieci del mattino, in perfetto orario. Il sole splendeva in un cielo terso e io, dopo avere aspettato tutta una vita, finalmente ero in viaggio per Londra.
Ero tuttavia appena uscita dall'ospedale dopo un intervento improvviso, e la prospettiva di recarmi da sola all'estero mi terrorizzava (figuriamoci, mi spaventa anche solo l'idea di andare da sola dal Queens a Brooklyn, perché mi perdo). Non sapevo proprio cosa avrei fatto se qualcosa fosse andato storto e se all'aeroporto non si fosse presentato nessuno. Soprattutto mi chiedevo come me la sarei cavata con quella valigia gigantesca presa a prestito, che non riuscivo a spostare, e tanto meno a sollevare.

Titolo originale: The Duchess of Bloomsbury Street
(Edizioni Archinto - traduzione di Giovanna Baglieri)


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[16 dicembre 06]

La madre di Garp, Jenny Fields, fu arrestata a Boston nel 1942 per aver ferito un uomo, in un cinema. Ciò avvenne poco dopo l'attacco giapponese contro Pearl Harbor e la gente era, allora, molto tollerante nei confronti dei militari - poiché tutti, d'un tratto, eran andati soldati - ma Jenny Fields, dal canto suo, era decisa di non tollerare il comportamento degli uomini in genere e in specie dei soldati. In quel cinema le era toccato cambiar posto tre volte, ma il soldato si spostava anche lui, standole sempre più addosso. Quando Jenny venne a trovarsi dietro una stupida colonna che quasi le impediva di vedere lo schermo, decise che non ci sarebbe mossa una quarta volta. Il soldato si spostò di nuovo e venne a sederle accanto.
Jenny aveva ventidue anni. Aveva piantato l'università senza neanche finire il primo anno, però aveva portato a termine la scuola da infermiera, e far questo mestiere le piaceva. Era una giovane donna di corporatura atletica, dalle guance sempre colorite; aveva i capelli bruni, lucenti, e una camminata che sua madre diceva mascolina: faceva oscillare le braccia; fianchi e sedere erano tanto snelli che, da dietro, sembrava un giovanotto. I seni - secondo lei - erano troppo grossi; Jenny pensava che, ostentando un tal petto, poteva passare per "una donna facile e dappoco".

Titolo originale: The World According to Garp (1978)
(Edizioni BUR - traduzione di Pier Francesco Paolini)


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