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Archivio - settembre 2003

[30 settembre 03]

Era inevitabile: l'odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì appena entrato nella casa ancora in penombra, dove era accorso d'urgenza per occuparsi di un caso che per lui aveva cessato di essere urgente da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e suo avversario di scacchi più pietoso, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro di oro.

(Traduzione di Claudio M. Valentinetti)


[Trascritto da Ardesia | 30/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[29 settembre 03]

PROLOGO AL COMINCIAMENTO DI UN MOLTO RIGIDO VIAGGIO
Il mio nome per la legge è Alexander Perchov. Ma tutti i miei amici mi chiamano Alex, perché è una versione del nome più flaccida da pronunciare. Mia madre mi chiama Alex-basta-di-ammorbarmi perché sempre la ammorbo. Se volete sapere perché sempre l'ammorbo, è perché sempre sono in altri posti con amici, e seminando tanta moneta e eseguendo così tante cose che possono ammorbare mia madre. Mio padre mi chiamava Shapka per il cappello di pelliccia che calzavo in testa anche nei mesi d'estate. Poi ha smesso di dirmi così perché gli ho ordinato di smettere di dire così. Mi sembrava un nome bambinoso, e io invece mi sono sempre pensato un uomo molto potente e inseminativo. Ho avuto una baldoria di ragazze, credetemi, e tutte per me hanno un nome differente.


(Edizione Guanda - traduzione di Massimo Bocchiola)


[Trascritto da Ardesia | 29/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[26 settembre 03]

Benché suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell'esercito, Hervé Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile.
Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta.
Era il 1861. Flaubert stava scrivendo Salammbò, l'illuminazione elettrica era ancora un'ipotesi e Abramo Lincoln, dall'altra parte dell'Oceano, stava combattendo una guerra di cui non avrebbe mai visto la fine.
Hervé Joncour aveva 32 anni.
Comprava e vendeva.
Bachi da seta.


(Edizione Rizzoli)


[Trascritto da Ardesia | 26/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[25 settembre 03]

Che bolgia!
Il pienone di mezzogiorno. Un inferno al banco e in sala. La ressa, l'abboffata, e il chiasso a più non posso. Una gara a chi strilla, smandibola, sforchetta di più. Un brulicame cotto a pressione. Da non ri trovarci i propri denti di dietro, ammesso di averli ancora. Qui, a ciascuno la sua piccola fetta: un'ora da imbottire come un naso. Sniffa a tutto menù. La carta per i prìncipi. Ci si rimpinza la pancia e verrebbe da ruttare a bocca aperta ogni amarezza. Ma è già ora di sgombrare.

(Edizione: Universale Economica Feltrinelli - traduzione di Annamaria Ferrero)


[Trascritto da Ardesia | 25/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[24 settembre 03]


Mia brutta, sei una castagna spettinata,
mia bella, sei come il vento,
mia brutta, della tua bocca se ne può far due,
mia bella, son freschi i tuoi baci come angurie.

Mia brutta, dove stan nascosti i tuoi seni?
Son minuscoli come due coppe di frumento.
Mi piacerebbe vederti due lune sul petto:
le torri gigantesche della tua sovranità.

Mia brutta, il mare non ha le tue unghie nella sua bottega,
mia bella, fiore a fiore, stella per stella,
onda per onda, amore, ho contato il tuo corpo:

mia brutta t'amo per la tua cintura d'oro,
mia bella, t'amo per una ruga sulla tua fronte,
amore, t'amo perché sei chiara e perché sei oscura.


(Cento sonetti d'amore - 1959)


[Trascritto da Ardesia | 24/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[23 settembre 03]

Era meglio se i miei restavano a New York dove si erano conosciuti e sposati e dove sono nato io. Invece se ne sono tornati in Irlanda che io avevo quattro anni, mio fratello Malachy tre, i gemelli Oliver e Eugene appena uno e mia sorella Margaret era già morta e sepolta.
Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un'infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irladese è peggio di un'infanzia infelice qualunque, e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora.
Gente che si vanta o si lamenta delle tribolazioni patite nei primi anni di vita se ne trova dappertutto, ma niente regge il confronto con la versione irlandese: la povertà; il padre alcolizzato chiacchierone e buono a nulla; la madre pia e derelitta che geme accanto al fuoco; i preti boriosi; i maestri arroganti; gli inglesi e le cose tremente che ci hanno fatto per ottocento anni...
E poi, tutta quell'umidità.
Sull'oceano Atlantico si formavano grandi quinte di pioggia che risalivano lentamente il fiume Shannon per stabilirsi a Limerick in eterno. La pioggia bagnava la città dalla circoncisione a capodanno, scatenando uno sgangherato concerto di tossi secche, raspi bronchiali, rantoli asmatici e gracchi tubercolotici.
Trasformava nasi in fontanelle, i polmoni in spugne batteriche, e dava la stura a una marea di rimedi: per sciogliere il catarro bisognava lessare una cipolla nel latte nero di pepe; per le congestioni si faceva un impiastro di farina e di ortiche bollite, che andava messo in un straccio e poi sbattuto, ancora sfrigolante, sul petto del malato.
Da ottobre ad aprile i muri di Limerick luccicavano di umidità. I vestiti non si ascigavano mai; i cappotti di lana e tweed ospitavano organismi viventi e a volte ci cresceva una vegetazione misteriosa. Al pub,il vapore che saliva da corpi e dagli indumenti bagnaticci arrivava alle narici mischiato al fumo di sigaretta e di pipa e ai miasmi del whiskey e della birra stantia corretti dall'odore di piscio dei cessi all'aperto dove molti finivano per vomitare la paga della settimana.
La pioggia ci spingeva in chiesa, il solo rifugio, il solo conforto, il solo posto asciutto che conoscevamo.
Durante la messa, la benedizione, le novene, ci stringevamo in crocchi folti e umidi e sonnecchiavamo con la litania del prete che ci ronzava nelle orecchie, mentre il vapore si levava di nuovo dai nostri abiti per mescolarsi alla dolcezza dell'incenso, dei fiori e delle candele.
Limerick aveva la fama d'essere una città molto religiosa, ma noi sapevamo che era solo la pioggia.


(Edizione Gli Adelphi - Traduzione Claudia Valeria Letizia)


[Trascritto da Ardesia | 23/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[18 settembre 03]

Quella pseudoprimaverile domenica pomeriggio, il vecchio Alex aveva arrampicato le scale di casa con in testa il presagio, meglio, con in testa la telefoto-presagio, della sua famiglia barricata in tinello a guardare le pattonate americane via Grundig. Un istante più tardi, non s'era ancora sfilato il parka, aveva dovuto prendere atto che le telefoto, di un realismo agghiacciante, gli provava quanto le sue facoltà di preveggenza stessero raggiungendo, con l'età, livelli negromantici sbalorditivi: erano tutti in salotto, e tutti variamente sgomenti o assorti di fronte alle forzute vicende del Rocky IV; il frère de lait, risucchiato nel video, che già sognava di diventare pugile professionista, un giorno; la mutter, pericolosamente in bilico fra la visione di quelle forzute vicende e la lettura della Bologna's Chronicles su Repubblica; il Cancelliere, seminghiottito dalla poltrona e inutilmente sorridente, che accompagnava gli uppercut dello Stallone nano con battutine da sistema nervoso in pezzi e imitazioni, depressive, della voce robotica d'Ivan Drago.
«Gesù grande», aveva mormorato il vecchio Alex, sentendosi improvvisamente senza forze. «Questi poveri esseri costituivano, anni luce fa, una famiglia di italiani viventi?» Be' stentava a crederlo, kazzo, anche se l'incredulità spirituale che gli divorava la mente e il cuore non gli aveva impedito di sedersi a propria volta di fronte al tv.


(Edizione: Transeuropa, uncut limited edition)


[Trascritto da Ardesia | 18/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[15 settembre 03]


Lontano, alla luna,
sul fiume una vela,
serena passando,
che cosa mi rivela?

Non so, ma il mio essere
mi si rese estraneo,
e io sogno senza vederli
i sogni che ho.

Che angoscia mi allaccia?
Che amore non si dispiega?
E' la vela che passa
nella notte che resta.

(Traduzione di Luigi Panarese)


[Trascritto da Ardesia | 15/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[14 settembre 03]

DI LA' DALLA FINESTRA ALTA E STRETTA DEL BAGNO il cortile di dicembre è grigio e triste, gli alberi si stagliano calligrafici. Fuori il vapore di scarico dell'asciugatrice si alza in pesanti volute, sfilacciandosi e avviluppandosi nel cielo bianco.
La casa è un bordello totale.
Mi tiro su i pantaloni e torno da mia madre. Attraverso il corridoio, supero la lavanderia e di lì passo in sala da pranzo. Mi chiudo la porta alle spalle, smorzando il rumore delle scarpe di Toph che rotolano dentro l'asciugatrice.

(Edizione: Piccola Biblioteca Oscar Mondadori - traduzione di Giuseppe Strazzeri)


[Trascritto da Ardesia | 14/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[13 settembre 03]

L'estate in cui mio padre comprò l'orso, nessuno di noi era ancora nato. Neanche concepito: né Frank, il maggiore; né Franny, la più vispa; né io, il terzo; né i due più piccoli, Lilly e Egg. Mio padre e mia madre si conoscevano da sempre, erano cresciuti assieme, ma la loro "unione" - come Frank l'ha sempre chiamata - non aveva ancora avuto luogo quando mio padre comprò l'orso.
"La loro 'unione', Frank?", lo canzonava sempre Franny.
Benché Frank fosse il più grande, a me sembrava più piccolo di Franny, e Franny lo trattava appunto come un bamboccio. "Vorrai dire, Frank, che non avevano ancora cominciato a scopare."
"Non avevano ancora consumato la loro relazione," disse Lilly una volta. Benché fosse più giovane di tutti, tranne Egg, Lilly si comportava con noi da sorella maggiore: cosa che irritava Franny.

Titolo originale: The Hotel New Hampshire (1981)
(Edizione: Tascabili Bompiani - traduzione di Pier Francesco Paolini)


[Trascritto da Ardesia | 13/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[12 settembre 03]


Amai trite parole che non uno
osava. M'incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l'abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.


(Il Canzoniere)



[Trascritto da Ardesia | 12/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


Siamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall'inizio di un nuovo millennio. Per ora non mi pare che l'approssimarsi di questa data risvegli alcun'emozione particolare. Comunque non sono qui per parlare di futurologia, ma di letteratura. Il millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell'Occidente e le letterature che in queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive e cognitive e immaginative. È stato anche il millennio del libro, in quanto ha visto l'oggetto-libro prendere la forma che ci è familiare.


[Trascritto da Ardesia | 12/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


[11 settembre 03]

"Bentornato Antonio", disse il Grande Otorongo.
Stavo seduto nell'erba secca, con le spalle appoggiate al nume di pietra e lo sguardo rivolto al vallone. Nonostante fosse la fine di marzo faceva ancora molto freddo, e l'aria turbinante del crinale si infilava ovunque. Tirai fino al collo lo zip della giacca a vento. Adagiai la nuca tra le mani intrecciate e presi a seguire con gli occhi le nuvole filanti. Due poiane in caccia remigavano controvento, sospese nel celeste in attesa di tuffarsi sopra qualche sorcio incauto.
"Sei molto pallido", riprese Otorongo.
"Sono stato male. Parecchio male."
"E sei tornato per guarire?"
"Sì. Almeno in teoria. Ho bisogno di restarmene tranquillo per qualche giorno. E mi stavo proprio chiedendo, mentre salivo da te, se ne sono ancora capace."
Ficcai una mano in tasca e spensi il cellulare. Un piccolo gentile bip salutò, per parte mia, il mondo intero. Durante l'ultima vacanza che avevo trascorso a Valmasca ero salito spesso dalle parte del Grande Otorongo per fare qualche telefonata di lavoro: il segnale, giù a valle nella casa dei miei genitori, non arriva. Per captarlo bisogna salire più in alto, verso il cielo bene irradiato di voci, che collega gli uomini agli uomini. Quel poco di esposizione pubblica che poteva raggiungermi fin lassù in cima, adesso era esclusa.
Quel giorno pensavo, del resto, che la mia sola salvezza fosse rendermi irraggiungibile. Neppure sospettavo le molte cose, e le non poche persone, che avrebbero approfittato di quella brusca interruzione, di quello scarto ostinato e renitente della mia vita, per riuscire finalmente a raggiungermi. Sdraiandomi al freddo sole di montagna e abbandonandomi alla malattia ero pronto a godere dei vantaggi della resa, come quando una fatica soverchiante approda allo sfibramento, e puoi darti per perso, adagiarti nel perfetto grembo a forma di zero che hai infine saputo conquistare. Ero certo della destrezza della mia ingloriosa ritirata. Ma all'oscuro del suo imprevedibile esito.


(Edizione Universale Economica Feltrinelli)


[Trascritto da Ardesia | 11/09/2003 | p.link | segnala un errore | ]


Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell'estremo limite della Spirale della Galassia, c'è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c'è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro-verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un'ottima invenzione.

Titolo originale: The Hitchhiker's Guide to the Galaxy (1979)
(Edizione: Piccola Bibliotaca Oscar Mondadori - traduzione di Laura Serra)




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