Leggere Moll Flanders è un'esperienza psichedelica: girata l'ultima pagina si ha la sensazione di aver assistito alla proiezione sovrapposta/incrociata/intrallazzata di almeno una decina di film in cui tutti i ruoli femminili venivano ricoperti dalla stessa persona.
Moll usa diversi nomi e diversi modi di essere; all'occorrenza recita la parte dell'oca giuliva, un miscuglio insondabili tra Marilyn Monroe e la Julie Andrews di
Tutti insieme appassionatamente, ma è talmente furba e determinata da inventarsi realtà alternative che riuscirebbero a far impallidire l'Agente Smith di
Matrix (che peraltro probabilmente troverebbe il modo di impalmare, assieme a tutti i suoi cloni e ad una manciata di parenti) e allo stesso tempo è anche la Holly fragile e un po' svitata di
Colazione da Tiffany e la Kim Basinger assatanata di
9 settimane e mezzo.
È un mistero di quelli tosti: leggi un libro di fine '600 ed ecco che ci trovi dentro dei pezzetti di
Basic Instinct,
Moulin Rouge,
Proposta indecente,
Pretty Woman.
Ma la cosa più curiosa non è nemmeno essere risucchiati dal vortice delle coreografie di un
Sette spose per sette fratelli in cui una sola protagonista riesce a recitare simultaneamente le parti di tutte le sette sorelle e anche quelle di qualche loro amica, tenendo fronte a tutti i fratelli, anzi, spolpandoli, e senza che nessuno dei diretti interessati sospetti di non essere l'unico oggetto delle sue attenzioni; quel che lascia veramente interdetti è il mistero dei figli di questa donna multitasking. Sì perché tra i vari mariti e amanti ci scappano anche una dozzina di figli sulla cui sorte però il signor Defoe, forse interamente occupato a carpire attraverso la divinazione col pendolino spunti per l'intreccio dalla produzione cinematografica futuribile, si degna di darci soltanto qualche becera informazione che il più delle volte, diciamocelo, ha la consistenza emotiva di una lista della spesa.
Moll procrea dodici figli. Di questi, quattro moriranno in tenera età e dei restanti nove si verrà a sapere soltanto la fine di uno, di quello la cui storia riuscirà a gettare l'ombra dell'oblio sull'esistenza di tutti gli altri. Cos'avrà mai fatto questo figlio di buona donna - letteralmente e letterariamente - per meritarsi la luce della ribalta? Come minimo avrà
salvato una cheerleader, direte voi. No, l'arcano è molto più elementare, Watson: il baldo giovine è l'unico in potere di far entrare la rediviva madre in possesso di un lascito ereditario. Cuore di mamma!
Ma non voglio addossare tutte le colpe a 'sta povera donna che per comprarsi la pagnotta se n'è dovuta inventare di tutti i colori; in realtà a muovere i fili è Defoe, a cui una notte in sogno deve essere apparso la miopìa di Christopher Lambert a svelargli che alla fine ne sarebbe rimasto soltanto uno, e figurarsi se quello non si attaccava come una cozza allo spunto e non infilava nel romanzo anche una spruzzata di
Highlander. Tanto era ai figli di quella là che toccava far la fine di un mucchietto di mosche schiacciate tra le pagine di un libro, mica a lui.
Comunque bisogna dare a Defoe quel che è di Defoe: avrà anche anacronisticamente svaligiato metà della produzione cinematografica del ventesimo secolo, ma è anche grazie al suo
Robinson Crusoe che ora ci pappiamo
Lost, quindi suvvìa, niente recriminazioni... e tanti saluti ai figli scomparsi di Moll, che se tanto mi da tanto prima o poi si imbatteranno in John Locke e compagnia bella, anche se da parte mia gli auguro di essere andati a finire non coi sopravvissuti del volo
Oceanic 815, ma assieme ai bambini perduti dell'altra isola, quella che non c'è.