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[sabato 21 giugno 2003]
You can leave your hat on...
Non trovo più un libro. Son certa di averlo visto qui intorno meno di una settimana fa, ma ora sembra scomparso. La consapevolezza che a metterlo dove si trova ora sono stata io non mi è di grande aiuto. Mi andava di leggerne un brano, quello del cappello. Probabilmente è meglio che non l'abbia trovato; oggi avevo molte cose da fare e sarebbe andata a finire che lo avrei riletto tutto, dato che si tratta di un libro che scivola via veloce, che si insinua come un lamento nei pori della pelle delle dita di chi lo regge, che trasuda la passione di un rapporto tormentato.
Più che un libro è una poesia. Versi di carni dilaniate da un amore impossibile, da una vita che spinge gli accadimenti lontano dal proprio corpo e li riversa, molti anni più tardi, sulle pagine di un libercolo tanto leggero quanto ferocemente denso di inarrestabili erosioni interiori.
Si tratta de L'amante di Marguerite Duras.
Il brano che cercavo l'ho trovato poco fa con google:
"Ma quel giorno non sono le scarpe la nota insolita, inaudita nell'abbigliamento della ragazza. Quel giorno porta in testa un cappello da uomo con la tesa piatta, un feltro morbido color rosa, con un largo nastro nero. A creare l'ambiguità dell'immagine è quel cappello. Come fosse capitato in mio possesso l'ho dimenticato. Non vedo chi potrebbe avermelo dato. Credo che me l'abbia comprato mia madre e su mia richiesta. Unica certezza: è un saldo di saldi. Come spiegare quell'acquisto? Nessuna donna, nessuna ragazza portava cappelli da uomo nella colonia, a quei tempi. Neppure le indigene. Ecco come deve essere successo: mi sono provata quel cappello, tanto per ridere, mi sono guardata nello specchio del negozio e ho visto, sotto il cappello maschile, la magrezza ingrata della mia persona, difetto dell'età, diventare un'altra cosa. Ho smesso di essere un dato grossolano e fatale della natura. E' diventato l'opposto, una scelta che contrastava la natura, una scelta dello spirito.
Improvvisamente è diventata una cosa voluta. Mi vedo un'altra, come sarebbe vista un'altra, al di fuori, a disposizione di tutti, di tutti gli sguardi, immessa nella circolazione delle città, delle strade, del piacere. Prendo il cappello, me lo metterò sempre, ormai posseggo un cappello che, da solo, mi trasforma tutta, non lo abbandono più."

Ha quattordici anni, poco più che una bambina. Tra poco incontrerà il Cinese. Si trovano entrambi su un traghetto che sta attraversando il Mekong.
Diventano amanti fin dal primo momento, quando ancora non si sono nemmeno sfiorati e lo saranno per sempre, anche se presto dovranno separarsi.
Si rivedranno una cinquantina d'anni dopo:
"Un giorno, ero già avanti negli anni, in una hall mi è venuto incontro un uomo. Si è presentato e mi ha detto: "La conosco da sempre. Tutti dicono che da giovane lei era bella, io sono venuto a dirle che la trovo più bella ora, preferisco il suo volto devastato a quello che aveva da giovane"
Quando l'ho visto la prima volta non sapevo che il film tratto da questo romanzo biografico, all'autrice non piaceva, che ne voleva fare una seconda versione che avrebbe sceneggiato lei, personalmente, ma che poi non fu mai realizzata.
Rivedere una delle esperienze più profonde della propria vita riprodotta su una pellicola cinematografica deve essere molto difficile, specialmente se vi si trovano imperfezioni, alterazioni e sbagli.
A me però quel film piace.
Il finale mi fa piangere di una commozione mista alla rabbia per quello che poteva essere e non è stato, per quello che avrebbero potuto dirsi e non si sono mai detti, anche se poi, in cuor loro, erano perfettamente consci dell'amore che provavano l'uno per l'altra. Ma quando le cose si dicono cambia tutto. E loro se lo diranno soltanto molti decenni più tardi. Per il momento la nave si allontana dal porto e lui la scruta celato, dentro l'auto nera.
Lei sa che lui la sta guardando.
Io sento il sapore delle lacrime che mi scendono sulle labbra.

Mi commuovo per i film più impensabili.
Nove settimane e mezzo mi fa sciogliere in singhiozzi. Avete presente alla fine, quando lei lo lascia e se ne va via, e lui inizia a girare per tutto l'appartamento, disperato come un animale in gabbia, e si mette a contare, cercando di imporre agli eventi il desiderio che ha di lei, la propria disperata volontà di farla tornare? Bé, è solo in quel momento di disfatta totale che si rende conto di amarla davvero e che lo borbotta fra sé e sé. Tutte le ossessioni, le perversioni, la sfrenatezze erotiche e sessuali, si sciolgono lì, in quel "ti amo" sussurrato quando è ormai troppo tardi. Ma anche allora non si muove, non corre ad inseguirla, a gridargli tutto il suo amore. Soccombe a sé stesso.
E di nuovo io mi ritrovo a cercare un pacchetto di fazzoletti di carta.
E' il tempo che frega tutti in queste storie; il tempo, lasciato scorrere via senza approfittare del momento, senza svelare i proprio sentimenti.
I titoli di coda si portano via i visi, le voci e tutte le loro storie ed io so che se voglio questo mio tempo posso tentare di usarlo per essere davvero me stessa, per cercare ancora il mio libro smarrito e per non avere timore di vivere passioni trasparenti.


"Muori di sfinimento, muori stanca morta per aver guardato troppo il mondo..."
"...morta per aver amato troppo, gli amanti, ogni sorta di amanti, troppi tentativi di amore, di amore totale, mortale appunto."

(Yann Andrèa, ultimo compagno di Marguerite Duras)

"Ma poi glielo aveva detto. Le aveva detto che era come prima, che l'amava ancora, che non avrebbe potuto mai smettere d'amarla, che l'avrebbe amata fino alla morte"
(Marguerite Duras, L'amante)


[Ardesia | 17]

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