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[martedì 25 gennaio 2005]
di base
Io a volte mi sento inadeguata.
Genericamente. Né più, né meno.
E tu?


[Ardesia | 4]

Commenti
Commento lasciato da alice il 25/01/2005 alle 22:35 :
anche io, Ardesia.

Commento lasciato da bobregular il 26/01/2005 alle 11:02 :
io? senza "a volte"...

Commento lasciato da Diavoletto il 26/01/2005 alle 21:03 :
perchè?
c'è anche la possibilità di essere adeguati???

OT
finalmente sono riuscito a riaprire il tuo blog...dio solo sa perchè ma da quando stavo in francia niet nisba nada... e volevo dirti che accolgo molto volentieri la tua proposta per il nome del "maialino" ;)
(meglio tardi che mai...)

Commento lasciato da Valerio il 27/01/2005 alle 07:08 :
A volte è una cosa che mi butta un po' giù. Poi però penso a Charlie Brown, l'inadeguato cronico per eccellenza, e mi torna il sorriso! Non è tanto la sensazione di inadeguatezza ad avere importanza, quanto il modo in cui la si vive...

Commento lasciato da chiara il 28/01/2005 alle 12:15 :
più o meno quasi sempre :(

Commento lasciato da dementia il 31/01/2005 alle 22:04 :
io sento inadeguati tutti gli altri. Quanto a me, mi adeguo all'inadeguatezza, e ne faccio arte.

Commento lasciato da ornellina il 01/02/2005 alle 15:33 :
Inadeguata? Si a volte.... spesso però è il contesto inadeguato a ma! Boh? :)
Più spesso è l'insicurezza e la paura che mi turbano

Commento lasciato da dementia il 04/02/2005 alle 13:02 :
Da diversi anni seguo assiduamente la Sua rubrica. Nel complimentarmi per la lucidità delle Sue analisi e la puntualità delle Sue argomentazioni, desidero ricordare brevemente, nel cinquantenario della sua tragica dipartita, un personaggio che certamente Lei avrà in massima stima e riguardo: il Cavalier Mirko Gustavo Giustoppi Mazzoleni, Conte di Ghemme, industriale dell'aceto.
Uomo di rara statura morale e di grande sensibilità civile, instancabile fustigatore del malcostume di un'epoca, egli fu precursore di quel liberalismo moderato che tanto avrebbe plasmato l'industria e la società italiana nei decenni a venire.
Epperò. Pochi, tra i contemporanei, intuirono appieno la portata epocale delle sue tesi. Fanno eccezione, tra gli altri, il Salvemini e il Colajanni, che anche negli anni del declino ebbero sempre parole di stima e comprensione per il Conte di Ghemme.
E cionondimeno neppure oggi, in quest'Italia martoriata dal malaffare, sempre poco incline a riconoscere il giusto merito ai suoi figli più illustri, vi è consapevolezza della grandezza e attualità della sua lezione.
Dai circoli accademici della sua amata Lodi, ai salotti della nobiltà industriale milanese, fino alle aule dell'ateneo ambrosiano, dove memorabili, per chi come me ebbe la fortuna di assistervi, furono le sue “lectio magistralis”, seppe sempre coniugare il suo assoluto rigore morale con una umanità pacata, un garbo discreto da signore d'altri tempi, e un'onestà intellettuale che sempre gli venne riconosciuta, anche dagli acerrimi nemici (ah, che merce rara nelle italiche vicende d'ogni tempo!).
Quel volto severo, incorniciato da due folti mustacchi, quel fisico imponente eppur dotato di una naturale, austera eleganza, tradivano, sotto il vasto occipite, uno sguardo vivo e acuto, sempre intento a scrutare un orizzonte ideale. Laddove i più non scorgevano che rovine e declino morale, il Conte di Ghemme distingueva i contorni della sua Pospa, gioiello di efficienza che si ergeva dalle macerie prodotte da decenni di governanti lassisti e maramaldi.
La Pospa, ovvero l'utopia della produttività totale. Dagli scritti che egli ci ha lasciato e che sono certo Lei abbia saputo apprezzare, traspare tutta la tragedia di un uomo intieramente votato al suo sogno, al punto di sacrificare sull'altare dell'opera sua gli affetti familiari. Il progetto di una vita, che tante illusioni seppe suscitare nella più lungimirante gioventù accademica dell'epoca, era purtroppo destinato al più misero dei fallimenti, di fronte alla protervia du un mondo industriale arretrato e pusillanime, incapace di valorizzare le Patrie eccellenze, impermeabile a qualsivoglia innovazione.
L'infamia del fallimento riuscì infine a piegare quell'uomo indomito: il Conte di Ghemme perse il ben dell'intelletto; terminò la sua esistenza solo e abbandonato, in un ricovero per mentecatti, continuando fino all'ultimo a vedere Pospe dove non erano che rovine e declino morale.
A dieci lustri dalla sua scomparsa ritengo doveroso rendere omaggio alla sua memoria.
Per questo, se non è chiedere troppo, vorrei che anche Lei, da queste Sue colonne, spendesse qualcuna delle Sue illuminanti parole per questa figura tragica, epperò a suo modo eroica, d'Italiano.


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