[venerdì 30 gennaio 2004]
Voglia di evadere attraverso buone visioni.
Si può arrivare ad accusare la necessità fisica, concreta, intima, di un'esperienza estetica?
E un'esperienza estetica può tramutarsi in una sublimazione estatica?
Io credo di sì, anche perché sono convinta che mi sia capitato.
Ero sola in un famoso museo appena riaperto dopo un lungo restauro ed avevo tutto il tempo del mondo.
Tempo di far scorrere intorno a me le rumorose scolaresche di cavallette sghignazzanti e distratte, tempo per ignorare i sussurri che si scambiavano rispettose le coppie di turisti stranieri, tempo per rimanere completamente sola nelle ampie sale e riuscire ad ascoltare... e a farmi travolgere dalla forza delle opere d'arte che il mio sguardo sfiorava riverente. Non sentivo più il mio corpo; ho vagato assorta per ore perdendo qualsiasi senso di realtà, aprendomi totalmente ad una sensazione di leggerezza e sollievo indescrivibile e, allo stesso tempo, di partecipazione commossa.
Niente a che vedere con la cosiddetta Sindrome di Sthendal, sia chiaro: non c'è stato nessuno svenimento o visione. Niente sudori freddi, convulsioni e schiuma dalla bocca! Non mi sono di certo ritrovata "concretamente" catapultata dentro a un quadro e non mi sono svegliata stecchita sul pavimento ritrovandomi addosso un energumeno di 60 anni intento a praticarmi la respirazione bocca a bocca!
Niente incubi, quindi; solo buone visioni che prima o poi spero di rincontrare.
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